tag:blogger.com,1999:blog-80662153178300256122024-03-13T19:19:28.869-07:00La Divina CommediaTesto integrale di tutti i canti dell'opera di Dante con ParafrasiCarlohttp://www.blogger.com/profile/18141817929890313062noreply@blogger.comBlogger212125tag:blogger.com,1999:blog-8066215317830025612.post-70085527332243934162012-05-22T19:30:00.000-07:002012-05-22T11:21:34.642-07:00La Divina Commedia<br />
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<a href="http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/b/ba/Dante03.jpg/260px-Dante03.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img alt="Dante03.jpg" border="0" height="200" src="http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/b/ba/Dante03.jpg/260px-Dante03.jpg" style="border: none; vertical-align: middle;" width="187" /></a>La <i><b>Commedia</b></i> o <i><b>Divina Commedia</b></i> (originariamente Comedìa; l'aggettivo Divina, attribuito da Boccaccio, si ritrova solo a partire dalle edizioni a stampa del 1555 a cura di Ludovico Dolce) è un poema di Dante Alighieri, scritto in terzine incatenate di versi endecasillabi, in lingua volgare fiorentina. Composta secondo i critici tra il 1304 e il 1321, la Commedia è l'opera più celebre di Dante, nonché una delle più importanti testimonianze della civiltà medievale; conosciuta e studiata in tutto il mondo, è ritenuta da alcuni il più grande capolavoro della letteratura di tutti i tempi.<br />
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Il poema è diviso in tre parti, chiamate cantiche (Inferno, Purgatorio e Paradiso), ognuna delle quali composta da 33 canti (tranne l'Inferno, che contiene un ulteriore canto proemiale). Il poeta narra di un viaggio attraverso i tre regni ultraterreni che lo condurrà fino alla visione della Trinità. La sua rappresentazione immaginaria e allegorica dell'oltretomba cristiano è un culmine della visione medioevale del mondo sviluppatasi nella Chiesa cattolica.<br />
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L'opera ebbe subito uno straordinario successo, e contribuì in maniera determinante al processo di consolidamento del dialetto toscano come lingua italiana. Il testo, del quale non si possiede l'autografo, fu infatti copiato sin dai primissimi anni della sua diffusione, e fino all'avvento della stampa, in un ampio numero di manoscritti. Parallelamente si diffuse la pratica della chiosa e del commento al testo, dando vita a una tradizione di letture e di studi danteschi mai interrotta; si parla così di secolare commento. La vastità delle testimonianze manoscritte della Commedia ha comportato una oggettiva difficoltà nella definizione del testo critico.<br />
Oggi si dispone di un'edizione di riferimento realizzata da Giorgio Petrocchi. Più di recente due diverse edizioni critiche sono state curate da Antonio Lanza e Federico Sanguineti.<br />
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La Commedia, pur proseguendo molti dei modi caratteristici della letteratura e dello stile medievali (ispirazione religiosa, fine morale, linguaggio e stile basati sulla percezione visiva e immediata delle cose), è profondamente innovativa, poiché, come è stato rilevato in particolare negli studi di Erich Auerbach, tende a una rappresentazione ampia e drammatica della realtà. È una delle letture obbligate del sistema scolastico italiano.<br />
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Curioso notare come tutte le tre cantiche terminino con la parola "stelle". ("E quindi uscimmo a riveder le stelle" - Inferno; "Puro e disposto a salir a le stelle" - Purgatorio e "L'amor che move il sole e le altre stelle" - Paradiso).<br />
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<br />Carlohttp://www.blogger.com/profile/18141817929890313062noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8066215317830025612.post-65224733897279456942012-05-22T11:03:00.001-07:002012-05-22T11:03:07.193-07:00Parafrasi: XXXIII Canto (Paradiso)"Vergine madre, figlia del tuo figlio, la più umile e la più alta di tutte le creature, termine immutabile del decreto divino (per la redenzione dell’umanità), tu sei colei che nobilitasti tanto la specie umana, che il suo Creatore non disdegnò di farsi umana creatura. Nel tuo ventre si accese l’amore ( di Dio per gli uomini) per il cui calore è germogliata nell’eterna pace del paradiso la rosa dei beati. In cielo sei, per noi beati, una fiaccola di carità ardente come sole meridiano, e in terra, fra i mortali, sei sorgente inesauribile di speranza. Signora (donna: dal latino domina, "padrona", "signora"), sei tanto grande e hai tanto potere (presso Dio), che chiunque voglia la grazia divina e non ricorra a te, nutre un desiderio vano, come di chi voglia volare senza ali. La tua bontà non solo viene in aiuto a chi l’invoca, ma molte volte previene spontaneamente la preghiera. In te si raccolgono misericordia, pietà, munificenza, tutto ciò che di buono può esserci in una creatura. Ora questi (Dante), che dal luogo più basso dell’universo (cioè: dall’inferno) fino all’Empireo ha visto, ad una ad una, le diverse condizioni delle anime separate dal corpo, ti supplica (il verbo è costruito, come in latino, con il dativo) affinché, per grazia divina, gli sia concessa tanta virtù, da poter contemplare la visione suprema di Dio. Ed io, che non arsi mai dal desiderio di vedere Dio più di quanto ardo ora perché sia concesso a lui (Dante) di vederLo, innalzo a te tutte le mie preghiere, e supplico che non siano insufficienti, affinché tu, con la tua intercessione, lo liberi da ogni impedimento terreno, così che possa apparirgli in tutta la sua grandezza Dio, la suprema beatitudine. Ancora ti prego, o regina, che puoi ciò che vuoi, di mantenere puri, dopo una simile visione, i suoi sentimenti. La tua tutela raffreni (in lui) le umane passioni: guarda Beatrice e quanti beati congiungono le mani in atto di preghiera per avvalorare la mia domanda!" Gli occhi da Dio amati e venerati, fissi sulla figura dell’orante, ci mostrarono quanto le fossero giunte gradite le devote preghiere; poi si rivolsero alla luce eterna di Dio, nella quale non si deve credere che alcun’altra creatura possa penetrare tanto a fondo con uno sguardo così limpido (come quello della Vergine) . Ed io che mi avvicinavo al fine di tutti i miei desideri, portai al grado massimo di intensità, così come era giusto, l’ardore del mio desiderio. Bernardo mi faceva cenno e sorrideva perché guardassi in alto; ma io mi ero già messo spontaneamente nella disposizione d’animo che egli voleva ( cioè: pronto a contemplare Dio ), perché il mio sguardo, diventando limpido, penetrava sempre di più nel raggio della luce divina che è vera per sua propria essenza (diversamente dalle altre che sono un suo riflesso). Da questo momento in poi la mia di vedere fu maggiore della nostra possibilità di esprimere con le parole ( ciò che vediamo), perché ogni linguaggio umano viene meno (di fronte a tale visione), e (anche) la memoria cede di fronte a ciò che va al di là delle nostre capacità. Come colui che vede in sogno qualcosa, e dopo il sogno gli rimane impressa (nell’animo) l’emozione provata, ma il contenuto della visione non ritorna alla sua memoria, in questa condizione mi trovo io, perché è scomparsa dal ricordo quasi tutta la mia visione, ma ancora sopravvive (distilla: fa piovere qualche stilla) nel mio cuore la dolcezza del sentimento che da essa si generò. (Come viene meno, a poco a poco la visione) così la neve si scioglie (si distilla: perde la sua forma) al sole; così si perdevano al vento i responsi della Sibilla scritti sulle foglie leggiere. O somma luce che tanto ti innalzi al di sopra della possibilità dell’umano intelletto, ridona alla mia memoria un’immagine, sia pur tenue, di quello che sei apparsa alla mia vista, e fa che le mie parole siano tanto capaci, da poter descrivere per le genti future almeno una piccola parte della tua gloria, perché ( coloro che leggeranno la mia opera) potranno avere un concetto più chiaro della tua trionfante grandezza se essa tornerà in parte alla mia memoria e potrò celebrarla in piccola misura in questi versi. Io credo che, a causa dell’intensità del fulgore divino che la mia vista sopportava, sarei rimasto abbagliato, se i miei occhi non si fossero distolti da quel fulgore. E mi ricordo che proprio per questo ( per il timore di rimanere abbagliato se avessi distolto subito lo sguardo ) mi feci ardito a sopportare ( l’intensità della luce divina ), tanto che congiunsi il mio sguardo con Dio. O abbondante Grazia, per la quale osai penetrare con lo sguardo nella luce eterna di Dio, tanto che esaurii in essa ogni capacità di vedere! Nel profondo della luce divina vidi che era contenuto, legato in un amoroso vincolo d’unità, ciò che nell’universo appare diviso e sparso; ciò che sussiste per sé e ciò che sussiste in dipendenza dalle sostanze e i loro rapporti, come fusi fra di loro, in modo così mirabile che le mie parole possono esserne una vaga illustrazione. Credo di aver visto il principio costitutivo dell’unione di tutte le cose perché, dicendo queste cose, sento maggiormente dilatarsi di gioia il mio cuore. Un solo attimo ( il momento della visione divina) è per me causa di maggior oblio che non i venticinque secoli passati dall’impresa ( degli Argonauti), quando l’ombra proiettata dalla nave Argo suscitò lo stupore di Nettuno. (Come l’ombra della nave fece stupire Nettuno) così la mia mente, tutta assorta, mirava fissa, immobile e attenta, e si accendeva continuamente di nuova gioia contemplativa. Alla luce divina si diventa tali, che è impossibile che qualcuno mai voglia distogliersi da essa per guardare un altro oggetto, perché il bene, che è l’oggetto verso il quale si muove ogni volontà, è raccolto tutto in quella luce; e fuori di essa non c’è che bene imperfetto (letteralmente: è difettivo ciò che lì è perfetto). D’ora in poi le mie parole, sia pure limitate a quel poco che ricordo, saranno più insufficienti del balbettio di un lattante. Non perché ci fosse più di un unico aspetto nella luce divina che io contemplavo, la quale luce è sempre quale era prima, immutabile, ma, per il fatto che, mentre guardavo, le facoltà visive si rafforzavano in me, uno stesso oggetto (in questo caso: Dio), con il mutare delle mie capacità visive, passava da un aspetto all’altro. Nella profonda e luminosa essenza della luce divina mi apparvero tre cerchi di tre colori diversi ma della stessa dimensione; e uno di essi appariva riflesso dall’altro come un arcobaleno da un altro arcobaleno, e il terzo appariva come un fuoco spirante in uguale misura dai primi due (quinci e quindi: da una parte e dall’altra). Oh come è insufficiente e debole la mia parola rispetto al concetto! e questo, in confronto a ciò che vidi, è così poca cosa, che la parola "poco" non basta ad indicarlo (perché bisognerebbe dire "nulla"). O luce eterna che sei una sola nella tua sussistenza (sola in te sidi: in te sola ti posi), che sola ti intendi, e nell’essere intesa e nell’intenderti ti ami e gioisci! Quel cerchio che appariva in te generato come luce riflessa (dal primo cerchio), dopo che l’ebbi guardato tutt’intorno per alquanto tempo, mi apparve dipinto, nel suo interno, con il suo stesso colore, dell’immagine umana; per la qual cosa il mio sguardo si fissava tutto in esso. Come il geometra che si concentra con tutte le sue facoltà mentali per trovare l’esatta misura del cerchio, e, per quanto pensi, non trova il principio di cui ha bisogno, in questa stessa situazione mi trovavo io di fronte a quella visione straordinaria: volevo comprendere come l’effigie umana si adattasse alla forma del cerchio e come potesse trovarvi luogo (cioè: volevo comprendere il mistero della coesistenza in Cristo della natura divina e di quella umana); ma le mie ali non potevano farmi volare tanto in alto: se non che la mia mente fu percossa da un’illuminazione per mezzo della quale avvenne ciò che essa desiderava. A questo punto alla fantasia, che si era innalzata a tanto , venne a mancare la forza (di seguire l’intelletto in questa intuizione): ma già ogni mio desiderio e ogni mia volontà, erano mossi come ruota che gira con moto uniforme, da Dio, l’amore che imprime movimento al sole e alle altre stelle.Carlohttp://www.blogger.com/profile/18141817929890313062noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8066215317830025612.post-25934265151406354462012-05-22T11:02:00.001-07:002012-05-22T11:02:29.745-07:00Parafrasi: XXXII Canto (Paradiso)I miei occhi erano così fissi e attenti a saziare la decennale sete (che nasceva dal desiderio di rivedere Beatrice, ormai morta da dieci anni), che tutti gli altri miei sensi avevano cessato la loro attività. Ed essi venivano separati con un muro di noncuranza (avean parete di non valer) dalla realtà circostante (quinci e quindi: da una parte e dall'altra) - con tale forza il santo sorriso di Beatrice li attirava a sé con la rete dell'amore di un tempo (antica)! -, quando il mio sguardo fu costretto a volgersi verso la mia sinistra da un imperioso richiamo delle divine creature (quelle dee: le virtù teologali), perché io le udii esclamare "Troppo fissamente (guardi Beatrice)! "; e quella debole capacità visiva che rimane (èe: è) negli occhi appena abbagliati dal sole, mi fece restare per qualche momento senza poter vedere. Ma dopo che la vista diventò di nuovo capace di percepire la luce minore della processione (io dico "minore" in confronto al grande splendore [al molto sensibile] del volto di Beatrice dal quale mi distolsi forzatamente) , vidi che il trionfale corteo si era voltato verso destra, e tornava indietro avendo davanti a sé il sole e le luci (fiamme) dei sette candelabri. Come una schiera di soldati proteggendosi con gli scudi opera una conversione per salvarsi (dal nemico), e si volge indietro seguendo il vessillo, (formando un semicerchio) prima che tutta la schiera cambi direzione, allo stesso modo quella avanguardia (milizia... che procedeva) del regno celeste (formata dai ventiquattro seniori) ci passò davanti tutta quanta prima che il carro voltasse il timone (incominciando anch'esso, la sua conversione). Poi le virtù ritornarono accanto alle ruote, e il grifone mosse il carro (benedetto varco: benedetto carico, perché portava Beatrice), senza che, per questo, alcuna sua penna si agitasse, Matelda, la bella donna che mi aveva fatto varcare (il Letè) e Stazio e io seguivamo la ruota che (volgendosi il carro verso destra) segnò la sua curva con un arco minore (di quello compiuto dall'altra ruota). Così percorrendo la profonda foresta disabitata, per colpa di colei (Eva) che credette al serpente, un canto angelico regolava i nostri passi. Ci eravamo allontanati (dal punto di partenza) di uno spazio forse triplo di quello che percorre una saetta scoccata dall'arco, quando Beatrice scese dal carro. Io udii mormorare da tutti "Adamo"; poi si disposero in cerchio attorno ad una pianta priva di foglie e di ogni fronda in tutti i suoi rami. La sua chioma, che tanto più si allarga quanto più si innalza, per la sua altezza sarebbe ammirata anche dagli Indiani nei loro boschi. « Beato sei tu, o grifone, che con il becco non strappi da questa pianta il frutto dolce al gusto, poiché il veritre di chi ne mangia si contorce dal dolore a causa di esso. » Così attorno all'albero robusto gridarono i componenti della processione; e l'animale dalla duplice natura: « Così si conserva il principio di ogni giustizia». E voltosi al timone che egli aveva tirato, lo portò ai piedi della pianta spoglia, e lo lasciò legato a lei per mezzo di un ramoscello. Come le piante della terra (in primavera), quando scende la grande luce (del sole) congiunta a quella della costellazione dell'Ariete che splende seguendo la costellazione dei Pesci, diventano turgide di gemme, e poi ciascuna rinnova il colore dei propri fiori, prima che il sole passi (giunga li del tempo di Dante con il significato di "pesce"). Il rinnovamento della natura si completa nel breve giro di un mese, prima cioè che il sole, lasciata la costellazione dell'Ariete, entri in congiunzione con quella del Toro (che segue l'ariete). così la pianta che prima aveva i rami tanto spogli, si rinnivò, facendo sbocciare fiori di un colore meno vivo di quello delle rose e più acceso di quello delle viole. lo non ne compresi le parole, né sulla terra si canta l'inno che in quel momento cantò quella gente, né fui capace di ascoltare fino alla fine il dolce canto. Se io potessi descrivere come gli spietati occhi (di Argo) cedettero al sonno udendo cantare (da Mercurio) gli amori della ninfa Siringa, quegli occhi ai quali costò così caro il vegliare continuamente; riuscirei a rappresentare in che modo mi addormentai, come un pittore che dipinga tenendo davanti un modello; ma un altro, se vorrà, provi a ben descrivere l'addormentarsi. Perciò passo senz'altro al momento in cui mi svegliai, e dico che uno splendore mi squarciò il velo del sonno e che una voce (quella di Matelda) mi chiamò dicendo: « Alzati: che fai? » Come nel vedere il primo saggio di quell'albero (Cristo), il quale in cielo rende gli angeli bramosi della sua visione, e li fornisce di cibo come in una perpetua festa nuziale, Pietro e Giovanni e Giacomo quando furono condotti (sul Tabor) e furono tramortiti (dallo splendore della trasfigurazione di Gesù), ritornarono in sé al suono della voce di Cristo la quale ruppe sonni ben più profondi, e si accorsero che dal loro gruppo erano scomparsi tanto Mosè quanto Elia, e che il Maestro aveva cambiato la veste (con la quale era apparso durante la trasfigurazione), allo stesso modo ripresi io i sensi, e vidi china su di me Matelda che prima aveva guidato i miei passi lungo la riva del Letè. E tutto timoroso (di essere stato abbandonato da Beatrice) dissi: « Dov'è Beatrice?» Per questo Matelda rispose: « La puoi vedere sotto l'albero che ha rinnovato le fronde seduta sulla sua radice: vedi il gruppo che la circonda (le virtù cardinali e teologali) : gli altri personaggi della processione risalgono in cielo dietro al grifone intonando un canto più dolce (per la melodia) e più profondo (per il significato) (di quelli che tu hai potuto ascoltare sulla terra) ». E se Matelda disse altre cose, non lo so, poiché ero già tutto intento ad osservare Beatrice, la cui vista mi impediva di prestare attenzione ad altre cose. Sedeva sola sulla nuda terra, lasciata lì a guardia del carro che avevo visto legare (all'albero) dal grifone (biforme fera: la fiera dalle due nature). Le sette virtù la chiudevano come in un cerchio, tenendo in mano i candelabri che non possono essere spenti da nessun vento (d'Aquilone e d'Austro: sono qui indicati i due venti più impetuosi) . « Qui resterai nella selva per poco tempo: e poi sarai insieme con me per sempre cittadino di quella Roma celeste (cioè: del paradiso) della quale Cristo è cittadino. Perciò, ad ammaestramento dell'umanità traviata, osserva ora il carro, e fa in modo di descrivere quello che vedi, dopo sere ritornato nel mondo. » Così disse Beatrice; ed io, che ero del tutto disposto a seguire con umiltà i suoi comandi, rivolsi la mente e gli occhi dove ella voleva. Un fulmine non scende mai da una densa nube con un moto così veloce, quando precipita dalle più alte regioni dell'aria, come quello con il quale l'aquila calava verso l'albero, squarciandone la corteccia, oltre che i fiori e le nuove foglie; e colpì il carro con tutta la sua forza; per la qual cosa esso sbandò come una nave (sbanda) ora su un fianco (da poggia: la poggia è la fune che regge l'antenna sul fianco destro della nave), ora sull'altro (da orza: l'orza è la fune che regge l'antenna sul fianco sinistro della nave) durante la tempesta, quando è in balia delle onde. Poi vidi avventarsi sulla parte interna del carro trionfale una volpe che sembrava digiuna di ogni cibo che potesse ben nutrirla. Ma Beatrice, rimproverandola per le sue colpe vergognose, la costrinse ad una fuga tanto veloce quanto lo consentivano le sue smagrite membra. Poi per la stessa via dalla quale era venuta la prima volta, vidi l'aquila scendere nella parte interna del carro e lasciarla cosparsa delle sue penne; e con lo stesso tono di una voce accorata (esce di cuor che si rammarca), uscì dal cielo una voce e disse: « O navicella mia, di quale cattiva merce sei carica! » Poi mi sembrò che la terra fra l'una e l'altra ruota si aprisse, e vidi uscirne un drago che conficcò la coda nel carro; e come la vespa che ritira il pungiglione, ritraendo a sé la sua coda pericolosa, asportò una parte del fondo del carro, e se ne andò tutto soddisfatto. Quella parte del carro che rimase, come accade per la terra fertile che si ricopre di gramigna (se è lasciata incolta), dalle penne, offerte forse con intenzione retta e generosa, fu ricoperta, e ne furono ricoperte entrambe le ruote e il timone, in un tempo più breve di quello che impiega la bocca ad emettere un sospiro. Il carro sacro così trasformato mise fuori delle teste nelle singole parti, tre sopra il timone e una in ciascuno degli angoli: le prime erano fornite di due corna come quelle dei buoi, ma le altre quattro avevano un corno solo nella parte mediana della fronte: mai fu visto un mostro simile. Seduta sopra di esso, sicura, come una rocca sulla cima di un monte, mi apparve una sfrontata meretrice, che guardava intorno con occhi impudichi; e quasi (a vigilare) affinché nessuno gliela rapisse, vidi ritto di fianco a lei un gigante; e si baciavano l'un l'altra di tanto in tanto. Ma poiché volse verso di me i suoi occhi desiderosi e vaganti, quel crudele amante la flagellò dalla testa ai piedi; poi, pieno di sospetto e reso crudele dall'ira, slegò il mostro, e lo condusse nella selva, tanto che soltanto con gli alberi (sol di lei: riferito a selva) mi impedì (di vedere) la meretrice e la bestia mostruosa.Carlohttp://www.blogger.com/profile/18141817929890313062noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8066215317830025612.post-65844248390951975832012-05-22T11:01:00.003-07:002012-05-22T11:01:50.104-07:00Parafrasi: XXXI Canto (Paradiso)I beati che Cristo unì a Sé con la sua morte in croce mi apparivano dunque nella forma di una candida rosa; ma gli angeli (l’altra: riferito a milizia), che volando contemplano e cantano la gloria di Dio che li avviva d’amore e la sua bontà, che li creò tanto perfetti, allo stesso modo in cui uno sciame d’api ora si immerge nei fiori ed ora ritorna all’alveare (là) dove la sua fatica si trasforma in dolce sapore di miele, scendevano nel grande fiore che si adorna di foglie così numerose (ogni beato, infatti, costituisce un petalo della candida rosa), e da lì risalivano là dove Dio, oggetto del loro amore, soggiorna per l’eternità. Il loro volto aveva il colore della fiamma viva, e le loro ali quello dell’oro, e il resto della figura era così bianco, che nessuna neve può arrivare a quell’estremo (di candore). Quando scendevano nel fiore, passando da un gradino all’altro comunicavano ai beati la pace della beatitudine e l’ardore della carità che essi attingevano volando (fino a Dio). L’interporsi di un così grande numero di angeli fra il punto in cui si trovava Dio e la rosa non impediva alle anime di contemplare Dio, e allo splendore divino di giungere alle anime, poiché la luce divina penetra nell’universo secondo che ogni cosa sia più o meno degna (di riceverla), così che nulla può esserle di ostacolo. Questo regno privo di ogni turbamento e pieno di beatitudine, popolato di anime dell’Antico e del Nuovo Testamento, rivolgeva il suo sguardo e il suo amore verso una unica meta (Dio). Oh luce della Trinità, che risplendendo agli occhi dei beati nell’unica essenza della tua luce, li appaghi in modo così completo, guarda quaggiù sulla terra le nostre procelle! Se i barbari, scendendo da regioni così settentrionali che l’Orsa Maggiore (Elice) vi rimane sempre visibile, ruotando insieme con il figlio che tanto ama, vedendo Roma e i suoi grandiosi edifici, rimanevano attoniti per lo stupore, quando Roma superò (in grandezza e in potenza ) tutte le cose mortali, io, che ero venuto al mondo divino dal mondo umano, all’eterno dal tempo, e da Firenze ai beati del paradiso, di quale stupore dovevo essere colmo! Certamente stupore e gioia insieme mi rendevano gradito non udire e non parlare. E come il pellegrino che si riposa (dalle fatiche del viaggio) contemplando il tempio che aveva fatto voto di visitare, e già spera di poter raccontare ( al suo ritorno) come esso era fatto, così io facendo scorrere lentamente lo sguardo sulla viva luce (della candida rosa) osservavo gradino per gradino, volgendo lo sguardo ora in alto, ora in basso e ora all’intorno. Vedevo volti che ispiravano carità, risplendenti della luce di Dio e della propria gioia che si manifestava nel sorriso, e atteggiamenti ricchi di ogni decoro e nobiltà. Avevo già abbracciato col mio sguardo tutto l’aspetto del paradiso nel suo complesso, senza essermi ancora fissato su nessuna parte: e mi volgevo con il desiderio riacceso di sapere, per interrogare la mia donna su cose intorno alle quali la mia mente era ancora incerta. Di una cosa avevo intenzione (di interrogare Beatrice), ma altro rispose al mio intento: credevo di vedere Beatrice, e vidi un vecchio vestito (di una bianca stola) come tutte le anime beate. Nei suoi occhi e nel suo volto era diffusa una benevola letizia, nel suo atteggiamento si dimostrava affettuoso come un tenero padre. E subito chiesi: "Dov’è?" Per cui egli: "Per soddisfare il tuo desiderio (che è quello di vedere Dio) Beatrice mi ha fatto venire (qui) chiamandomi dal mio seggio; e se guardi nel terzo gradino a cominciare dall’alto, la rivedrai sul trono che il suo merito le ha destinato in sorte". Senza rispondere, alzai gli occhi, e vidi Beatrice che riflettendo la luce divina irradiava intorno a se un aureola di luce. Nessun occhio mortale, anche se guardasse dal più profondo del mare, disterebbe da quella regione dell’aria nella quale si formano i tuoni, più di quanto la mia vista lì distava da Beatrice; ma ciò non mi era di alcun ostacolo, perché la sua immagine non giungeva a me velata dall’atmosfera. "O donna in cui prende vigore la mia speranza, e che non disdegnasti di lasciare le tue orme nell’inferno per la mia salvezza (cfr. Inferno 11-52 e sgg. ) riconosco che dal tuo potere e dalla tua bontà (non dai miei meriti) ho ricevuto la grazia e la capacità di vedere tante cose quante ne ho vedute (durante il mio viaggio). Tu mi hai condotto dalla schiavitù (del peccato) alla libertà (della virtù) servendoti di tutte quelle vie, di tutti quei mezzi che avevi la possibilità di usare. Conserva in me il tuo mirabile dono, affinché la mia anima, che hai risanato dal peccato ( nel momento della morte), si sciolga dal corpo cara a te (come lo è ora)". Cosi pregai; e Beatrice, così lontana come appariva, sorrise e mi guardò; poi si volse verso Dio, eterna sorgente di luce e d’amore. E il santo vecchio disse: "Affinché tu concluda il tuo viaggio perfettamente, per il quale scopo mi ha mandato la preghiera di Beatrice dettata da santo amore; vola col tuo sguardo su questa rosa, perché la sua visione preparerà la tua vista a salire su per i raggi della luce divina (fino a contemplare direttamente Dio). E la Vergine, regina del cielo, per la quale io ardo tutto d’amore, ci concederà ogni grazia, perché io sono il suo fedele Bernardo". Come il pellegrino che forse dalla Croazia viene (a Roma) per vedere il sudario della Veronica, e che per il desiderio lungamente nutrito non si sazia mai di contemplarlo, ma dice dentro di sé, per tutto il tempo in cui (I’immagine) viene mostrata ai fedeli: "Signore mio Gesù Cristo, vero, così, dunque, fu il vostro aspetto?" nello stesso stato d’animo (di stupore e di smarrimento ) mi trovavo io guardando l’ardente amore di colui che (ancora) sulla terra, gustò la pace (del paradiso), con le sue mistiche contemplazioni. "Figliolo rigenerato dalla Grazia" incominciò a dire "la condizione beata del paradiso non ti sarà manifesta, finché tu continuerai a guardare solo nel fondo (della rosa); ma guarda i gradini circolari fino al più alto, sì che tu possa vedere la regina della quale questo regno è suddito e devoto. Io alzai lo sguardo; e come all’alba la parte orientale dell’orizzonte supera (in luminosità) quella occidentale, dove il sole tramonta, Così, salendo con gli occhi dal basso verso l’alto, vidi una zona nel gradino più alto che vinceva con la sua luce tutta la parte che le stava di fronte. E come il punto dell’orizzonte in cui si aspetta di vedere sorgere il carro del sole si infiamma di una luce più intensa, mentre da una parte e dall’altra (di quel punto) la luce si attenua (man mano che ci si allontana), così quella pacifica orifiamma si avvivava di splendore nella sua zona centrale, e la luce diminuiva in uguale misura da entrambe le parti. E intorno a quel punto centrale, con le ali spiegate, vidi innumerevoli angeli festanti, ciascuno distinto dagli altri per intensità di luce e per ardore di canti e di atteggiamento. Io vidi qui sorridere ai loro voli e ai loro canti il bel volto della Vergine, che era motivo di letizia per tutti i beati che lo contemplavano. E se anche avessi tanta ricchezza di parole quanta ne ho di fantasia, non oserei tentare di descrivere neppure la minima parte del gaudio che da lei derivava. Bernardo, non appena vide il mio sguardo fisso e attento in Maria, oggetto del suo ardente amore, rivolse i suoi occhi verso di lei con tanto amore, che rese i miei ancora più desiderosi di guardarla.Carlohttp://www.blogger.com/profile/18141817929890313062noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8066215317830025612.post-3248838188510906702012-05-22T11:01:00.001-07:002012-05-22T11:01:17.190-07:00Parafrasi: XXX Canto (Paradiso)Il mezzogiorno (l’ora sesta) arde lontano dal punto dove siamo forse a distanza di seimila miglia, e la terra (questo mondo) inclina già il suo cono d’ombra fino quasi a portarlo sul piano dell’orizzonte, quando lo spazio celeste, per noi più lontano, incomincia a rischiararsi, tanto che alcune stelle non sono più visibili fin quaggiù sulla terra; e non appena avanza l’aurora, la luminosa ancella del sole, ecco che il cielo (rischiarandosi) spegne tutte le sue luci, una stella dopo l’ altra, finché scompare anche la più fulgente. Allo stesso modo il coro trionfale dei nove cerchi angelici il quale tripudia sempre intorno al punto centrale che mi aveva abbagliato, e che sembrava contenuto dai cerchi angelici mentre in realtà li contiene nella sua onnipotenza divina, a poco a poco impallidì scomparendo alla mia vista; per cui il non veder più nulla e l’amore per Beatrice m’indussero a volgere gli occhi verso di lei. Se tutto quanto è stato detto finora da me della bellezza di Beatrice, potesse venire racchiuso tutto in una sola lode, questa sarebbe sempre inadeguata ad assolvere tale compito (quello, cioè, di parlar degnamente di lei ). La bellezza che io vidi ( in Beatrice ) non solo va al di là delle nostre capacità umane, ma sono certo che soltanto Dio, il suo creatore, possa goderla appieno. Da questo punto mi dichiaro vinto più di quanto non sia mai stato sopraffatto da un punto qualsiasi del suo tema uno scrittore di stile comico o di stile tragico, perché, come fa la luce del sole riflessa in un occhio debole (il quale resta abbagliato), così il solo ricordo del dolce sorriso di Beatrice mi priva di tutte le facoltà della mia mente (abbagliata da tanto splendore). Dal primo giorno che vidi i suoi occhi sulla terra, fino a questa visione, non mi è mai stato impedito di proseguire il mio canto; ma ora devo rinunciare a seguire, con la mia poesia, l’immagine della sua bellezza, come deve desistere ogni artista giunto al limite estremo delle sue capacità espressive. Cosi risplendente di sovrumana bellezza quale io la lascio da celebrare ad una voce poetica più potente della mia, la quale svolge verso il suo termine il difficile argomento, Beatrice con atteggiamento e voce di guida che ormai ha finito il suo compito ricominciò: "Noi siamo usciti fuori dal Primo Mobile, il più grande dei corpi celesti per entrare nell’Empireo, il cielo che è pura luce; luce della mente divina, traboccante d’amore; amore del vero bene, pieno di beatitudine; beatitudine che supera ogni altro godimento. Qui vedrai la schiera degli angeli e la schiera dei santi del paradiso, e vedrai quella dei beati con le stesse sembianze che essi avranno il giorno del giudizio finale (all’ ultima giustizia, quando ogni anima riprenderà il suo corpo)". Come un lampo improvviso che disperda le facoltà visive, così che l’occhio non può più distinguere oggetti diventati troppo luminosi, così tutt’intorno mi rifulse la viva luce (dell’ Empireo); e mi lasciò avvolto dal velo così intenso del suo fulgore, che non vedevo più nulla. "L’amore divino che rende immobile questo cielo, accoglie sempre con questo saluto chi vi entra, per preparare la candela a ricevere la sua fiamma". Non erano ancora penetrate nella mia mente queste poche parole, che io m’accorsi di essermi elevato al di sopra della mia normale facoltà visiva; e mi illuminai di nuova potenza visiva, tale che non esiste luce tanto viva, che gli occhi miei non sarebbero stati in grado di sopportare. E vidi una luce in forma di fiume fluente di fulgore, tra due sponde coperte di meravigliosi fiori, come a primavera. Da questo fiume uscivano faville splendenti e andavano a posarsi sui fiori dell’una e dell’altra riva, simili a rubini incastonati in oro. Poi, come inebriate dal profumo dei fiori, le faville tornavano a inabissarsi nel mirabile gorgo di luce; e mentre una entrava, un’altra ne usciva. "L’intenso desiderio che ora ti accende e ti stimola ad aver cognizione chiara di quello che tu vedi, piace tanto di più quanto più si accresce; ma bisogna che tu beva dell’acqua di questo fiume prima che in te sia placata una sete di sapere tanto grande": così mi disse Beatrice, il sole dei miei occhi. Soggiunse ancora. "Il fiume di luce e le faville simili a topazi che vi s’immergono e ne escono e il risplendere dei fiori sono anticipazioni velate della verità in essi racchiusa. Non già che essi siano per loro natura difettosi; ma l’insufficienza è in te che non hai ancora occhi tanto potenti da vederli quali sono". Non vi è bambino che cosi precipitosamente si volga col viso per prendere il latte, se si sveglia molto più tardi dell’ora consueta, come io mi volsi al fiume, affinché i miei occhi diventassero migliori specchi (di quelle realtà), piegandomi verso l’acqua che scorre fra le due rive perché, guardando in essa, si possa diventare perfetti; e non appena i miei occhi cominciarono a dissetarsi in quell’onda, essa mi apparve trasformata in un cerchio mentre prima si estendeva in lunghezza. Poi come persone che celate sotto maschere, allorché si tolgono il falso aspetto sotto cui si nascondono, appaiono diverse da prima, allo stesso modo i fiori e le faville (cambiando aspetto) si tramutarono davanti a me in una visione più festosa, così che io potei vedere chiaramente ambedue le corti celesti (quella degli angeli e quella dei beati). O splendore di Dio, per grazia del quale vidi l’eccelso trionfo del regno celeste, dammi la capacità di descriverlo come lo vidi! Nell’Empireo vi è il lume di gloria che rende visibile il Creatore alla creatura che trova la sua pace solo nella visione di Lui. Questo lume si allarga in forma circolare, tanto che la sua circonferenza sarebbe una cintura troppo ampia anche per il sole. Tutta la sua figura visibile è formata da un raggio (emanante dalla luce divina) riflesso dalla superficie convessa del Primo Mobile, il quale da questo raggio riceve la forza vitale che trasmette agli altri cieli. E come un colle si specchia nell’acqua di un lago che è ai suoi piedi, quasi per contemplare la sua bellezza, quando è ricco di verde e di fiori, allo stesso modo, stando sopra al lago di luce, disposte tutt’intorno ad esso, su più di mille gradini vidi specchiarsi tutte le anime beate che dal nostro mondo sono tornate all’empireo. E se il gradino più basso può contenere in se un lago di luce così ampio, (si immagini) quanto sia estesa la circonferenza dei petali estremi di questa rosa! La mia vista non si smarriva nell’immensità e nella profondità di questo spettacolo, ma percepiva quella beatitudine in tutta la sua estensione e intensità. Nell’Empireo, né la vicinanza aggiunge, né la lontananza toglie qualcosa alla possibilità di vedere, perché dove Dio governa direttamente, le leggi della natura non hanno alcun valore. Nel centro luminoso della rosa eterna, che si allarga e si estende per successivi gradini ed emana profumo di lode a Dio, il sole che crea perenne primavera, Beatrice guidò me, che ero nello stesso stato d’animo di colui che tace per lo stupore ma vorrebbe parlare, e mi disse: "Guarda quanto è grande la comunità dei beati vestiti di bianco (delle bianche stole; I’immagine delle bianche stole deriva dall’Apocalisse VII, 9; cfr. Paradiso XXV, 95)! Vedi quanto è ampia la nostra Gerusalemme celeste: vedi come i nostri seggi hanno già tanti posti occupati che ormai qui ci attende solo poca gente. E su quel grande seggio, a cui tieni fissi gli occhi a causa della corona imperiale che già vi è sopra, prima che tu salga a questo banchetto nuziale (cioè: prima della tua morte), verrà a sedersi l’anima, che sulla terra sarà ) augusta, del grande Arrigo, che scenderà a ristabilire l’ordine in Italia prima che essa sia preparata a ciò. La cieca cupidigia dei beni mondani che vi toglie ogni retto discernimento, vi ha resi simili al bambino che muore di fame eppure respinge la balia. Allora sarà a capo della Chiesa un pontefice che riguardo ad Arrigo agirà pubblicamente e segretamente, in modo diverso. Ma sarà tollerato da Dio nel santo ufficio per poco tempo ancora dopo la morte di Arrigo, perché sarà sprofondato nell’inferno, nella bolgia dove Simon Mago riceve il meritato castigo, e farà scendere più in basso (nella sua buca) Bonifacio VIII, il papa di Anagni".Carlohttp://www.blogger.com/profile/18141817929890313062noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8066215317830025612.post-30009071060448986092012-05-22T11:00:00.003-07:002012-05-22T11:00:46.554-07:00Parafrasi: XXIX Canto (Paradiso)Quando il sole e la luna, in congiunzione l’uno con il segno dell’Ariete e l’altra con quello della Bilancia, si trovano contemporaneamente sulla linea dell’orizzonte (letteralmente: si fanno entrambi cintura dell’orizzonte ), per il tempo che intercorre dal momento in cui lo zenit è equidistante da essi fino al momento in cui, uno tramontando e l’altra sorgendo, si staccano dall’orizzonte, per tale frazione di tempo, Beatrice, con il volto illuminato dal sor riso, rimase in silenzio, guardando fissamente quel punto (Dio) che mi aveva abbagliato (con la sua luce). Poi incominciò: " lo dico, senza chiedertelo, quello che tu desideri ascoltare, perché l’ho letto in Dio, in cui ogni luogo e ogni tempo sono presenti. Non per acquistare un ulteriore bene per sé, cosa che è impossibile (perché Dio è il Bene supremo e infinito), ma perché lo splendore riflesso della sua luce (cioè le creature) potesse (affermando la propria sussistenza) dire: "Io sono", nella sua eternità, fuori del tempo, fuori dello spazio che circoscrive le cose, Dio, lo eterno amore, spontaneamente, si estrinseca in nuove creature amanti (gli angeli). Né prima della creazione Dio rimase inoperoso, perché l’opera della creazione non ebbe né un prima né un poi. La forma e la materia, unite fra di loro e allo stato puro, uscirono (dalla mente divina): ad un esistenza priva di difetti, coma da un arco munito di tre corde (escono contemporaneamente) tre frecce. come attraverso il vetro, l’ambra o il cristallo un raggio di luce passa così istantaneamente, che tra il suo giungere (in questi corpi) e il penetrarvi tutto non c’e intervallo di tempo, così la triplice creazione si irraggiò da Dio tutta insieme nella pienezza del suo essere senza distinzione di tempo nell’atto di nascere. Insieme con le tre sostanze (sopra nominate) fu creato l’ordine (secondo il quale devono agire) e la struttura: del cosmo; e quelle sostanze che furono prodotte come puro atto (gli angeli) occuparono il luogo più alto dell’universo (I’Empireo); la pura potenza fu posta nel luogo più basso; nel mezzo atto e potenza furono uniti insieme con un tale nodo, che non potrà mai essere sciolto. San Gerolamo vi lasciò scritto che gli angeli furono creati molti secoli prima della creazione del mondo sensibile; ma la verità che ti ho manifestata: (questo vero: gli angeli furono creati insieme con la materia prima e i cieli ) è scritta in molti passi degli autori ispirati dallo Spirito Santo; e te ne accorgerai tu stesso, se leggerai (quei testi) con attenzione; Le pagine della Sacra Scrittura alle quali Dante fa riferimento nei versi 40-4 1 sono quelle della Genesi ( I, 1 ), dei Salmi (CII, 26), dell'Ecclesiastico (XVIII, 1). e per quanto le è concesso di capire se ne rende conto anche la ragione umana, la quale non potrebbe ammettere che le intelligenze motrici dei cieli siano rimaste per tanto tempo senza essere perfette. Ora tu sai dove e quando e come gli angeli furono creati, così che sono ormai soddisfatti tre punti del tuo desiderio (cfr. versi 10-12). Non si giungerebbe, contando, fino al numero venti con la stessa rapidità con la quale una parte degli angeli sconvolse la terra, il più basso dei quattro elementi. Gli angeli fedeli rimasero (nell’Empireo), e incominciarono a svolgere con tanto diletto questo ufficio che tu vedi, che non cessano mai di girare intorno (al punto luminoso). Causa della caduta fu la maledetta superbia di Lucifero, colui che tu vedesti imprigionato sotto tutti i pesi dell’universo. Quelli che tu vedi qui in cielo furono umili nel riconoscere il loro essere derivato dalla bontà di Dio, che li aveva creati capaci di intendere cose così grandi; e perciò le loro capacità intellettuali furono accresciute per mezzo: della grazia illuminante e del loro merito, così che essi hanno una volontà ferma e perfetta (nel compiere il bene). Né voglio che tu abbia qualche dubbio, ma sii persuaso che il ricevere la grazia divina costituisce un merito proporzionale alla misura dell’affetto con cui essa si riceve. Ormai se hai bene ascoltato e meditato le mie parole, puoi capire, riguardo al tema del consorzio angelico, molte cose senza nessun altro aiuto. Ma poiché in terra nelle vostre scuole si insegna che gli angeli sono dotati di intelligenza e di memoria e di volontà, prolungherò il mio discorso, affinché tu possa vedere nella sua purezza la verità che in terra viene distorta poiché in questi insegnamenti si chiamano con uno stesso nome due cose diverse. Gli angeli, dal momento in cui godettero della visione diretta di Dio, non distolsero mai il loro sguardo da Lui, nel quale tutto è presente: perciò in essi la conoscenza non è mai interrotta da un oggetto nuovo, e per tale motivo non hanno bisogno di ricordare un concetto (temporaneamente) dimenticato, così che in terra si sogna ad occhi aperti, sia da parte di coloro che credono (in buona fede) di insegnare la verità, sia da parte di coloro che sono coscienti di non dire la verità, anche se la colpa e la vergogna più grandi sono da addebitare a questi ultimi. Voi sulla terra non procedete tutti sulla stessa via negli studi filosofici; a tal punto vi lasciate trascinare dal desiderio e dalla preoccupazione di apparire (abili e ingegnosi). E tuttavia questa ambizione è tollerata con minore sdegno di quando la Sacra Scrittura viene posposta (alle dottrine filosofiche), oppure di quando ne viene distorto il significato. Non si pensa sulla terra quanto sangue di martiri sia costata la diffusione (della parola divina) nel mondo, e quanto sia gradito (a Dio) chi si accosta ad essa con umiltà. Ciascuno si ingegna ed escogita novità per mettersi in mostra; e queste novità vengono accolte ed esposte dai predicatori mentre viene trascurato il vangelo. C’è chi dice che al momento della morte di Cristo la luna tornò indietro sul proprio cammino e si interpose (fra il sole e la terra), per cui (a causa delle eclissi così provocata) la luce del sole non poté mostrarsi in terra; e costui sostiene una cosa falsa, perché il sole si oscurò da se (non per interposto oggetto); perciò tale eclissi apparve ai popoli della Spagna e dell’India come ai Giudei. In Firenze non vi sono tanti Lapi e Bindi (due nomi molto comuni in quella città) quante sono le favole di tal genere che ogni anno dal pulpito si bandiscono dovunque, così che i fedeli ignoranti tornano dalla predica pasciuti di chiacchiere inutili, e il fatto di non veder il danno (che deriva loro da una tale predicazione) non li giustifica (perché dimostra la loro leggerezza e la loro ignoranza delle verità fondamentali della fede). Cristo non disse alla sua prima comunità ( quella degli apostoli ): "Andate, e predicate ciance al mondo"; ma diede loro una verità sicura. E quella dottrina risuonò sulla bocca degli Apostoli, così che nella lotta per la diffusione della fede, essi non usarono altra arma che il Vangelo. Ora si va a predicare con motti di spirito e sciocche piacevolezze, e purché si rida molto ( da parte degli ascoltatori), il cappuccio (del predicatore) si gonfia (di vanità ), e non si richiede altro ( né da lui né dagli ascoltatori). Ma nella punta del cappuccio (del frate) si nasconde un uccello tale (il diavolo) che, se il popolo lo vedesse, si accorgerebbe di che genere sono le indulgenze (promesse dai frati) nelle quali ripone la sua fiducia; e per tale motivo (per la fiducia nelle indulgenze) è tanto aumentata la stoltezza umana, che tutti sarebbero pronti ad accorrere ad ogni promessa, senza chiedere nessuna testimonianza (che comprovi la concessione dell’indulgenza da parte della legittima autorità religiosa). Di questa incredulità si ingrassa il porco di Sant’Antonio, e (s’ingrassano) persone peggiori dei porci stessi, pagando con monete false (cioè: contraccambiando le offerte dei fedeli con false promesse di indulgenze e di grazie). Ma poiché ci siamo allontanati molto (dal nostro tema), rivolgi ormai la tua attenzione verso l’argomento principale, così che la via (che ci resta da percorrere) si abbrevi in armonia. col (poco) tempo (che ci rimane da passare in questo cielo). Gli angeli raggiungono un numero così sterminato, che non ci furono mai parola o concetto umano capaci di rappresentarlo; e se tu consideri quello che viene rivelato da Daniele, vedrai che nelle migliaia (di cui parla) il numero preciso rimane nascosto. La luce di Dio, che irraggia tutta la natura angelica, è ricevuta in essa in tanti modi diversi, quanti sono i singoli angeli con i quali essa lì si unisce. Per tale motivo, poiché all’atto della visione intellettuale di Dio è proporzionato l’affetto, la dolcezza dell’ amore ( verso di Lui ) nella natura angelica è più o meno intensa. Considera ora l’altezza e l’immensità (la larghezza) di Dio, poiché ha creato un numero così grande di specchi ( gli angeli ) nei quali la sua luce si riflette in modi diversi, conservando la sua immutabile unità come prima (della creazione).Carlohttp://www.blogger.com/profile/18141817929890313062noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8066215317830025612.post-78255660448321292022012-05-22T11:00:00.001-07:002012-05-22T11:00:11.380-07:00Parafrasi: XXVIII Canto (Paradiso)Dopo che Beatrice, colei che innalza la mia anima alle gioie del paradiso, parlando contro la presente corruzione degli uomini mi ebbe rivelato la verità, come colui che scorge riflessa in uno specchio (che ha davanti), la fiamma di una torcia che lo illumina alle spalle, prima di averla vista (direttamente) o di avere pensato (che fosse lì), e si volge a guardare per vedere se lo specchio riflette un oggetto reale, e costata che l’immagine riflessa riproduce perfettamente quella vera allo stesso modo in cui il canto si accorda con la musica che l’accompagna, così mi ricordo di aver fatto io guardando nei begli occhi (di Beatrice) dei quali Amore si servì per legarmi a lei. E quando mi volsi a guardare e i miei occhi furono colpiti da ciò che appare in quel cielo (volume; cfr. canto XXIII, verso 112), ogni qualvolta si fissi bene lo sguardo nel suo giro, vidi un punto che irradiava una luce così potente, che l’occhio, che esso abbaglia deve chiudersi a causa della forte intensità di tale luce; e anche la stella che dalla terra appare più piccola, sembrerebbe grande come la luna, se fosse posta accanto ad esso come (nel cielo) una stella è collocata accanto all’altra. Forse non più distante di quanto si vede l’alone circondare l’astro (luce: il sole o la luna) che lo produce o lo illumina, quando il vapore che forma tale alone è più denso, così un cerchio di fuoco girava intorno al punto luminoso tanto velocemente, che avrebbe superato anche il moto del cielo che più rapido si volge intorno alla terra. E questo (cerchio) era circondato da un secondo, e questo da un terzo, e poi il terzo dal quarto, il quarto dal quinto, e poi il quinto dal sesto. Al di fuori del sesto seguiva il settimo così esteso ormai in larghezza, che l’arcobaleno sarebbe troppo stretto per poterlo contenere anche se costituisse (invece di un arco) un circolo intero. Concentrici come i precedenti e sempre più larghi seguivano l’ottavo e il nono; e ciascuno si muoveva con velocità decrescente , a seconda che il suo numero d’ordine fosse più o meno distante dall’ unìtà (cioè dal primo cerchio); ed aveva una fiamma più limpida il cerchio che era meno lontano dal punto luminoso, perché, credo, (essendo più vicino a Dio) tanto più riceve la sua verità. La mia donna, che mi vedeva assorto in un grave dubbio, disse: «Da quel punto dipendono il cielo e tutta la natura. Osserva quel cerchio che gli è più vicino; e sappi che il suo moto è così veloce per l’amore ardentissimo da cui è stimolato ». Ed io: «Se le sfere della terra e dei cieli fossero disposte nell’ordine che io vedo in questi cerchi angelici, la spiegazione data mi avrebbe soddisfatto; ma nel mondo sensibile si possono vedere i cieli tanto più veloci e infiammati di amore divino, quanto più sono lontani dal loro centro (la terra). Perciò, se il mio desiderio deve essere appagato in questo mirabile e angelico cielo che ha per confine solo l’ Empireo, cielo fatto di amore e di luce, Al di sopra del Primo Mobile non c'è più alcuna sfera materiale, ma solo l'Empireo, il cielo fatto di amore e di luce perché sede di Dio. è necessario che io sappia anche come mai il modello non corrisponda alla sua copia, perché inutilmente cerco di capirlo con le mie sole forze ». « Se le tue dita non sono capaci di sciogliere un tale nodo, non c’è da meravigharsi; tanto esso è diventato rigido e resistente, poiché nessuno ha mai tentato di scioglierlo! » Così parlò la mia donna; poi disse: «Ascolta attentamente quello che ti dirò, se vuoi saziarti; ed esercita acutamente il tuo ingegno intorno alle mie parole. I cerchi materiali (i cieli) sono più o meno ampi o stretti in proporzione della maggiore o minore virtù che si diffonde in tutte le loro parti. Quanto più grande è la virtù, tanto più grande è il benefico influsso che essa vuole esercitare; quanto più grande è un corpo materiale, tanto più grande è il benefico influsso che può ricevere, purché sia perfetto in tutte le sue parti. Dunque questo cielo (il Primo Mobile) che trascina con il suo movimento tutto quanto il resto dell’universo, corrisponde al coro angelico (quello dei Serafini) che è più infiammato d’amore e illuminato di sapienza. Per tale motivo, se tu misuri la virtù, non l’apparente dimensione dei cori angelici, vedrai la mirabile corrispondenza di ciascun cielo a ciascuna intelligenza angelica, corrispondendo i cieli maggiori alle maggiori virtù angeliche e i cieli minori alle minori virtù ». Come l’aria rimane luminosa e limpida, quando Borea (il vento di tramontana) soffia da quella parte da cui spira più temperato, per cui viene spazzata e dissolta la nebbia che prima offuscava il cielo, in modo che esso risplende con le sue bellezze in ogni parte (paroffia: letteralmente significa " parrocchia "), così avvenne in me, dopo che la mia donna mi ebbe offerto la sua chiara risposta, ed io vidi (si vide: fu vista; sottinteso: da me) la verità con la stessa chiarezza con cui si vede una stella brillare nel cielo. E dopo che il suo discorso fu concluso, i cerchi angelici sprigionarono faville come fa il ferro incandescente. Ogni scintilla (cioè: ogni angelo) continuava a girare con il suo cerchio infuocato; e il loro numero era così alto da inoltrarsi nelle migliaia più che la progressiva duplicazione degli scacchi. Udivo (gli angeli ) cantare osanna rispondendosi da cerchio a cerchio, al punto fisso (Dio) che (appagando ogni loro desiderio) li mantiene, e li manterrà sempre, nelle sedi nelle quali sono sempre stati. E Beatrice, che vedeva i dubbi che si agitavano nella mia mente (a proposito della disposizione delle gerarchie angeliche), disse: «I primi due cerchi sono quelli dei Serafini e dei Cherubini. Essi (girando) così veloci seguono il vincolo d’amore che li lega a Dio (i suoi vimi: questo termine deriva dal latino vímen, " legame "), per essere simili a Dio quanto più possono; e tanto più possono (assomigliarGli) quanto più si elevano nella contemplazione (rispetto a tutte le altre creature), Le altre sostanze angeliche che girano intorno alle prime due, sono chiamate Troni di Dio, per la qual cosa furono destinati a chiudere la prima terna. E devi sapere che questi tre ordini godono di una beatitudine proporzionata alla profondità della loro visione di Dio, visione nella quale ogni intelletto trova pace. Da quanto ho detto si può capire come la beatitudine si fonda sulla vista (di Dio), non sull’amore, che è una conseguenza (di tale visione); e la visione è in proporzione del merito, il quale nasce dalla grazia divina e dalla buona volontà (con cui essa è accolta): così si procede di gradino in gradino (dalla grazia alla volontà, dalla volontà al merito, dal merito alla visione, dalla visione all’amore). La seconda terna (o gerarchia), che così fiorisce in questa eterna primavera celeste che l’autunno non priva di foglie, canta (sberna: era il verbo usato per indicare il canto degli uccelli alla fine dell’inverno) il suo eterno " Osanna " con tre melodie che risuonano nei tre ordini angelici da cui (questa terna) è formata. In questa gerarchia si trovano le altre intelligenze angeliche: prima le Dominazioni, e poi le Virtù; il terzo ordine è quello delle Potestà. Poi nei due penultimi cori tripudianti si volgono i Principati e gli Arcangeli; l’ultimo è tutto costituito dagli Angeli festanti. Questi ordini in alto contemplano tutti Dio, e in basso esercitano il loro influsso (sui cieli sottostanti), in modo che ciascun coro è attratto verso Dio, e attrae a sé (le cose sottostanti). Dionigi l’Areopagita si dedicò alla contemplazione di questi ordini con tanto desiderio (di pervenire alla verità), che li chiamò e li distinse come ho fatto io ora (che ne ho conoscenza diretta). Ma San Gregorio Magno espresse poi una diversa opinione; per la qual cosa sorrise di se stesso non appena conobbe la verità arrivando in questo cielo. E non voglio che tu ti stupisca se un mortale ha potuto rivelare in terra una verità così misteriosa, perché gli fu rivelata da colui (San Paolo) che la poté contemplare quassù insieme con molte altre verità riguardanti questi cieli ».Carlohttp://www.blogger.com/profile/18141817929890313062noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8066215317830025612.post-59449046154275452512012-05-22T10:59:00.001-07:002012-05-22T10:59:39.183-07:00Parafrasi: XXVII Canto (Paradiso)Tutti i beati del paradiso intonarono: « Gloria al Padre, al Figlio, allo Spirito Santo! », così dolcemente che la loro melodia mi inebriava. Quello che io vedevo mi sembrava un sorriso dell'universo, perché l'ebbrezza entrava nel mio animo attraverso l'udito e lo sguardo. Oh gioia! oh allegrezza indicibile! oh vita perfetta piena d'amore e di pace! oh beatitudine sicuramente posseduta senza desideri insoddisfatti ! Dinanzi ai miei occhi fiammeggiavano le quattro luci (Pietro, Giacomo, Giovanni, Adamo), e quella di San Pietro che si era avvicinata prima degli altri incominciò a farsi più splendente, e nel suo aspetto si fece rosseggiante, quale diventerebbe l'argenteo pianeta Giove, se esso e il rosso Marte fossero uccelli e si scambiassero le penne. La provvidenza di Dio, che nel cielo distribuisce l'avvicendarsi delle azioni e il compito proprio a ciascuno, aveva imposto il silenzio al coro dei diversi gruppi di beati, quando udii dire (da San Pietro): « Non stupirti, se io muto colore, perché, mentre io parlo vedrai diventare, rossi di sdegno tutti costoro. Bonifacio VIII, colui che in terra occupa indegnamente la mia sede, che è come fosse vacante agli occhi del Figlio di Dio, di Roma, il luogo della mia sepoltura ha fatto la fogna dove scorre il sangue delle discordie civili e donde sale il puzzo dei vizi; per cui Lucifero , si rallegra laggiù nell'inferno ». Allora vidi tutto il cielo dei beati cospargersi di quel color rosso, che tinge una nube alla sera o al mattino quando il sole le sta di fronte, E come una donna onesta, la quale pur restando sicura di sé, soltanto all'udire i falli altrui, si fa vergognosa, così divenne Beatrice mutando aspetto; e un tale oscuramento io credo che sia avvenuto in cielo (solo) quando il Figlìo di Dio fu crocifisso. Poi San Pietro continuò a parlare con voce tanto alterata da quella di prima, che l'aspetto non si era mutato più della voce: « La Chiesa, sposa di Cristo, non fu fondata e nutrita col sangue mio, e dei miei successori Lino e Cleto, per essere adoperata come strumento di lucro, ma, perché fosse guida all'acquisto di questa nostra vita beata, i papi Sisto, Pio, Calisto, e Urbano sparsero il loro sangue dopo molte sofferenze. Noi non intendemmo che una parte della cristianità sedesse a destra dei nostri successori, e un'altra parte a sinistra; né che le chiavi che mi furono affidate (come simbolo d'autorità) diventassero emblema in una bandiera che combattesse contro altri cristiani; né che la mia immagine fosse posta sul sigillo papale impresso sui documenti che concedono privilegi falsi e simoniaci, per cui io spesso arrossisco e divampo d'ira. Da quassù si vedono in tutte le chiese sotto la veste di pastori di anime, lupi rapaci: o soccorso divino, perché ancora stai inerte? Già si preparano a bere il nostro sangue Caorsini e Guasconi: o Chiesa che avesti così buoni inizi, a quale ignobile corruzione per forza di cose tu partecipi! Ma la provvidenza divina che per mezzo di Scipione preservò a Roma la gloria del dominio del mondo, verrà presto in aiuto, così come io vedo. E tu, o figliolo, che a causa del corpo mortale tornerai ancora sulla terra, non tacere e non nascondere (agli uomini) ciò che io non nascondo a te ». Come l'atmosfera sulla terra fa scendere fiocchi di neve, quando la costellazione del Capricorno è in congiunzione con il sole, così vidi l'ottavo cielo adornarsi e fioccare verso l'alto per la moltitudine delle fiamme splendenti delle anime che prima si erano fermate con noi, Il mio sguardo seguiva i loro aspetti, e li seguì finché lo spazio situato in mezzo, per la distanza troppo cresciuta, gli impedì di spingersi oltre. Per cui Beatrice, che mi vide libero dalla cura di guardare verso l'alto, mi disse: «Abbassa lo sguardo, e guarda quale arco hai percorso (muovendoti con questo cielo)». Da quando avevo guardato in giù la prima volta vidi che mi ero mosso per tutto l'arco che la prima zona descrive dalla sua metà al termine, cosicché oltre Cadice vedevo la rotta temeraria tentata da Ulisse, e di qua da Cadice il mar Mediterraneo fin presso il lido dove Europa fu un dolce carico per Giove. E di là mi sarebbe stata visibile una plaga più ampia di questa nostra terra; ma il sole procedeva nel suo corso sotto i miei piedi separato da me trenta gradi e più. Il mio animo innamorato che vagheggiava sempre Beatrice, più che mai ardeva dal desiderio di tornare a guardare verso di lei: e se mai la natura o l'arte crearono, in corpi umani o in pitture, immagini che fossero allettamenti tali da attrarre gli occhi per conquistare l'anima, tutte queste bellezze riunite, sembrerebbero niente a paragone della bellezza divina che io vidi rifulgere quando mi volsi a guardare gli occhi ridenti di Beatrice. E la virtù che i suoi occhi mi largirono, mi staccò dalla costellazione dei Gemelli, e mi spinse nel nono cielo, il più veloce di tutti. Tutte le parti di questo cielo, fulgidissimo e altissimo, sono così uniformi, che io non saprei dire quale di esse Beatrice scegliesse per salirvi con me. Ma ella, che vedeva la mia brama di conoscere, ridendo con tanta letizia, che Dio stesso pareva gioire nel suo volto, incominciò: « La struttura dell'universo, la quale mantiene immobile al centro la terra e muove tutte le altre cose intorno ad essa, incomincia da questo cielo come dalla sua origine; e questo cielo non ha altro luogo che lo contenga al di fuori della mente divina, nella quale s'accende l'amore che lo fa girare e la virtù che esso trasmette ai cieli sottostanti. La luce e l'amore dell'Empireo lo contengono in sé come in un cerchio, così come questo racchiude glí altri; e come questo cerchio possa essere contenuto lo comprende solo Dio, il quale lo circoscrive. Il movimento di questo primo cielo non è misurato dal movimento di un altro; anzi il moto degli altri è misurato dal moto di questo, così come il dieci è misurato dalla sua metà, il cinque, e dal suo quinto, il due. E ormai ti deve esser chiaro come il tempo abbia le sue radici in questo cielo come in un vaso e abbia le sue fronde nei cieli sottostanti. Oh cupidigia umana che sommergi a tal punto i mortali sotto di te, che nessuno è capace di alzare gli occhi sopra le tue onde! Certo negli uomini fiorisce la buona volontà; ma (l'imperversare delle passioni la spegne come) la pioggia continua tramuta le susine buone in susine guaste. Fede e innocenza si trovano solo nei fanciulli, ma poi l'una e l'altra si dileguano prima ancora che le loro guance siano ricoperte dal primo pelo. Vi è chi osserva i dìgiuni, quando è ancora bambino balbettante il quale poi, nell'età matura (quando la lingua si è ormai sciolta), divora ogni cibo in qualunque epoca dell'anno ; e un altro, ancora bambino balbettante, ama e ascolta docile la mamma, e, una volta adulto, quando il suo linguaggio è ormai perfetto desidera poi vederla morta e sepolta. Allo stesso modo (in cui il candore dell'infanzia si corrompe con il passare dell'età) la pelle dell'uomo, naturalmente bianca, diventa nera, appena compare l'Aurora, la bella figlia del Sole che porta il mattino sulla terra e tramontando lascia la sera. Per non stupirti di ciò, pensa che sulla terra non vi è chi governi; per cui la umanità va così rovinosamente fuori strada. Ma prima che gennaio esca del tutto dal periodo invernale a causa della frazione centesimale del giorno trascurata dal calendario, questi cieli del paradiso irradieranno tali influssi, che la tanto attesa tempesta farà volgere le poppe delle navi dove sono le prue (cioè: rimetterà la nave nella giusta direzione), così che la flotta correrà diritta e frutti buoni seguiranno alle promesse ».Carlohttp://www.blogger.com/profile/18141817929890313062noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8066215317830025612.post-81524391081279838602012-05-22T10:58:00.003-07:002012-05-22T10:58:51.408-07:00Parafrasi: XXVI Canto (Paradiso)Mentre io dubitavo e temevo per la mia vista che era venuta meno, dalla fiamma luminosa (l'anima di San Giovanni) che l'aveva abbagliata uscì una voce che attrasse la mia attenzione, dicendo: « In attesa che tu riacquisti il senso della vista che hai perduto tentando di scrutare la mia luce, è opportuno che compensi la mancanza della vista fisica (con l'esercizio di quella spirituale) parlando con me. Incomincia dunque; e dimmi qual è il fine ultimo a cui tende la tua anima, e pensa che la tua vista è (solo) momentaneamente smarrita e non perduta per sempre. perché Beatrice, colei che ti conduce attraverso questo mondo divino, ha nel suo sguardo la virtù risanatrice che ebbe la mano di Anania ». Io dissi: « Presto o tardi, quando Beatrice vorrà, venga il risanamento ai miei occhi che furono come le porte attraverso le quali ella penetrò (nel mio animo) col fuoco di quell'amore di cui io sempre ardo. Dio, il Bene che appaga di sé tutto il paradiso, è principio e fine di tutto ciò che la carità mi insegna ad amare più o meno intensamente ». Quella medesima voce che mi aveva liberato dalla paura per l'improvviso abbagliamento (della mia vista), mi sollecitò (mi mise in cura) a parlare ancora, e disse: « Di certo devi chiarire (il tuo pensiero) passandolo (come avviene per il grano) attraverso un vaglio sempre più sottile: è necessario che tu dichiari chi ha rivolto l'arco del tuo amore verso un tale bersaglio (Dio) ». Ed io: « Questo amore si imprime necessariamente nel mio animo attraverso l'opera della ragione e attraverso la Rivelazione che scende da Dio. Perché il bene, non appena viene riconosciuto come tale, accende amore sé, e un amore tanto più grande quanto più questo bene è perfetto. Dunque verso quell'essenza (cioè Dio in cui c'è una tale superiorità su ogni essere, che ogni altro bene, il quale si trovi fuori di essa, non è che un riflesso della sua luce infinita, più che verso qualsiasi altra essenza deve rivolgersi, con il suo amore, la mente di ogni uomo capace di discernere la verità su cui si fonda questa argomentazione (cioè la dimostrazione di Dio come sommo Bene). Rende manifesta al mio intelletto questa verità colui che mi dimostra che Dio è l'amore supremo al quale tendono tutte le anime. Me la rende manifesta la voce di Dio stesso che a Mosè dice, parlando di se stesso: Io ti mostrerò tutto ciò che è buono ". Me la rendi manifesta anche tu, all'inizio del tuo grande annuncio nel quale proclami sulla terra i misteri divini con voce più alta di qualsiasi altra ». Ed io udii: « In virtù dei ragionamenti umani e della rivelazìone divina che con essi concorda, il supremo dei tuoi amori è rivolto a Dio. Ma, dimmi ancora se tu avverti altri impulsi che ti muovono ad amare Dio, così che tu possa rivelare in quanti modi questo amore ti assale ». Non mi rimase nascosta la santa itenzione di San Giovanni, anzi mi accorsi in quale direzione desiderava che io precisassi la mia dichiarazione. Perciò ripresi a parlare: « Tutti quei motivi che possono far volgere il cuore a Dio, hanno concorso ad alimentare in me la carità, perché l'esistenza del mondo e l'esistenza dell'uomo, il sacrificio di Cristo per salvare l'umanità, e la betitudine eterna sperata da ogni credente, con la viva conoscenza sopra affermata (di Dio come sommo Bene), mi hanno sottratto al mare delle passioni terrene, e mi hanno fatto approdare alla riva del vero amore. Amo le creature di cui è popolato, tutto il mondo creato da Dio in proporzione al bene che Dio concede a ciascuna di esse ». Non appena io tacqui, risuonò nel cielo un inno dolcissimo, e Beatrice cantava con gli altri: « Santo, santo, santo! ». E come all'apparire di una luce intensa ci si risveglia perché la facoltà visiva corre incontro a questa luce che passa attraverso i successivi tessuti dell'occhio, e colui che è stato (così) svegliato rifugge dal fissare lo sguardo su ciò che vede, tanto è inconsapevole quell'improvviso risveglio finché non viene in suo aiuto la riflessione, così Beatrice allontanò ogni impurità (che potesse offuscare i miei occhi) con la luce del suo sguardo, che risplendeva in modo da essere vista a più di mille miglia di distanza: per cui (grazie a questo suo intervento) potei poi vedere meglio di prima; e quasi stupefatto chiesi notizia di un quarto lume che vidi con noi. E Beatrice: « Dentro quella luce contempla con amore Dio, suo creatore, la prima anima che è stata creata dalla virtù divina ». Come fa l'albero che piega la sua cima al passaggio dei vento e poi torna a sollevarsi per la sua forza naturale che lo riporta in posizione verticale, così feci io mentre Beatrice parlava, (piegando il capo) pieno di stupore, ma poi mi rese ardito il grande desiderio di interrogare (Adamo). E incominciai: «0 frutto che, solo, nascesti già maturo, o antico padre per il quale ogni sposa è figlia e nuora, ti supplico, con la maggiore devozione possibile, di parlarmi: tu conosci ciò che desidero sapere e, per poterti ascoltare subito, non perdo tempo ad esportelo ». Come talvolta un animale coperto da un panno si agita, così che il suo desiderio si vede palesemente perché l'involucro che lo copre segue i suoi movimenti, allo stesso modo Adamo (anima primaia: la prima anima creata) lasciava trasparire attraverso la luce che lo fasciava la sua gioia di compiacere alle mie domande. Poi parlò: « Senza che tu me lo abbia manifestato, conosco il tuo desiderio meglio di quanto tu non conosca le cose per te più certe, perché io lo vedo nello specchio veritiero di Dio, che riflette in sé tutte le cose, ma non può essere riflesso da nessuna. Tu vuoi sapere da me quando Dio mi pose nel giardino del paradiso terrestre dave Beatrice ti preparò a salire attraverso i cieli, e per quanto tempo i miei occhi godettero di esso, e la causa precisa dello sdegno divino contro di me, e la lingua che io creai e usai. Ora, figlio mio, non il fatto di aver gustato il frutto proibito fu di per sé la causa della cacciata dal paradiso terrestre ma soltanto l'aver superato i limiti fissati da Dio per l'uomo, Dal limbo (quindi) da dove Beatrice fece muovere in tuo soccorso Virgilio (cfr. Inferno, II, 52 sgg.), per 4302 anni (volumi di sol: rivoluzioni solari) bramai il paradiso; e durante la mia vita terrena vidi il sole ritornare 930 volte in tutti i segni dello Zodiaco. La lingua da me usata era già scomparsa prima che il popolo di Nembrot si accingesse alla costruzione (della torre di Babele) che non poteva mai essere condotta a termine, perché mai nessun prodotto della ragione umana fu immutabile, perché il gusto dell'uomo cambia (continuamente) a seconda del variare degli influssi celesti. A un fatto naturale che l'uomo si esprima con parole; ma che si serva di una lingua piuttosto che di un'altra, è poi dalla natura lasciato all'arbitrio degli uomini, secondo il loro gusto. Prima che io scendessi all'inferno (dove si trova il cerchio del limbo), Dio, il sommo Bene da cui proviene il gaudio celeste che mi avvolge con la sua luce, si chiamava I; ed in seguito si chiamò EL: e questo mutamento è un fatto naturale, perché tutto ciò che è usato dagli uomini (e quindi anche il linguaggio) è simile alle foglie di un albero, dove le une muoiono e le altre germogliano. Sulla vetta del monte del purgatorio (dove si trova il paradiso terrestre) che più di ogni altro si innalza sulla superficie del mare, rimasi, prima del peccato e dopo averlo commesso, dalla prima ora del giorno a quella che segue, cioè la sesta, quando il sole muta quadrante ».Carlohttp://www.blogger.com/profile/18141817929890313062noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8066215317830025612.post-41641669136010771342012-05-22T10:58:00.001-07:002012-05-22T10:58:17.022-07:00Parafrasi: XXV Canto (Paradiso)Se mai avvenga che questo sacro poema alla cui composizione hanno concorso la scienza divina e l’umana esperienza, così che la fatica durata lunghi anni mi ha fisicamente logorato, riesca a piegare la crudele volontà (dei miei concittadini) che mi costringe a stare lontano da Firenze, la mia dolce patria dove io (un tempo) vissi come cittadino pacifico, ma avverso ai faziosi che portano discordia nella città, ritornerò poeta con voce diversa ormai e con diverso aspetto, e nel battistero di San Giovanni, dove fui battezzato, cingerò la corona poetica, poiché lì feci il mio ingresso nella fede che rende le anime familiari a Dio, e poi per questa fede San Pietro mi cinse la fronte (con la sua luce) in modo così mirabile. Quindi da quella stessa corona di beati da cui era uscito San Pietro, il primo dei vicari che Cristo lasciò in terra, venne verso di noi un altro spirito luminoso; e Beatrice, piena di letizia, mi disse: “ Guarda, guarda: ecco uno dei baroni della corte celeste, l’apostolo San Giacomo, per venerare il quale sulla terra si va in pellegrinaggio a Compostella in Galizia”. Come quando il colombo si avvicina al compagno, e l’uno manifesta all’altro l’amore, girandogli attorno e tubando, così vidi San Giacomo accolto dall’altro grande e glorioso principe, San Pietro, mentre entrambi lodavano Dio. il cibo che lassù li nutre. Ma dopo che fu terminato il vicendevole rallegrarsi, ciascuno si fermò dinanzi a me in silenzio, e così fiammeggiante che abbagliava la mia vista. Allora Beatrice disse sorridendo: “ O gloriosa anima che esalasti nei tuoi scritti la liberalità della nostra reggia celeste, fa che risuoni in questo cielo il nome della speranza: tu puoi farlo, perché sei colui che la simboleggi tutte le volte che Gesù dimostrò maggiore predilezione ai tre apostoli ”. “ Alza il capo e riprendi coraggio, perché chi sale quassù dalla terra, deve diventare capace di sostenere la vista del nostro splendore. ” Questo incoraggiamento mi venne dal secondo spirito, San Giacomo; e perciò io volsi lo sguardo verso le due somme luci che prima avevano fatto abbassare i miei occhi per il loro eccessivo splendore. “ Poiché Dio, nostro imperatore, per sua grazia vuole che tu, prima di morire, ti trovi al cospetto dei suoi ministri nella sala più interna della sua reggia, cosicché, dopo aver contemplato il paradiso quale esso è, tu possa con ciò che hai visto ravvivare in te e negli altri la speranza, che in terra accende gli animi all’amore del bene, dimmi cos’è la speranza e in che misura se ne abbellisce la tua mente, e donde essa ebbe principio in te. Così continuò ancora a dire San Giacomo. E Beatrice che aveva guidato a così alto volo le penne delle mie ali, prevenne la mia risposta con queste parole: “ La Chiesa militante non ha alcun figlio che possieda più di lui la speranza, com’è scritto nella mente di Dio, il sole che illumina tutte le nostre schiere: per questo gli è concesso di venire dall’esilio terreno (d’Egitto) nella Gerusalemme celeste, per vedere (il paradiso), prima che sia terminato per lui il tempo della milizia terrena. Intorno agli altri due punti, che gli sono richiesti, non perché tu voglia sapere (quello che già sai), ma perché egli riferisca agli uomini quanto ti è gradita questa virtù, lascio a lui la risposta, perché non gli riusciranno difficili né gli daranno motivo di vantarsi; ed egli stesso risponda alle tue domande e la grazia di Dio gli consenta di farlo”. Come scolaro che parla dopo il maestro rispondendogli pronto e volenteroso intorno a quello che egli ben sa, perché si conosca il suo valore, dissi: “La speranza è un’attesa sicura della gloria celeste, la quale è prodotta dalla grazia divina e dai meriti precedentemente acquistati. Questa nozione della speranza mi viene da molte fonti; ma per primo la istillò nel mio cuore David, colui che fu il più alto cantore di Dio. Nei suoi salmi in onore di Dio egli dice: “Sperino in te quelli che conoscono il tuo nome’’: e chi non sa questo, se ha la fede che ho io? Anche tu poi, con la luce comunicatami da David, mi istillasti la stessa dottrina nella tua epistola, in modo che io trabocco di questo dono, e riverso sugli altri quello che voi fate piovere su di me”. Mentre parlavo, dentro alla luce fiammeggiante di San Giacomo guizzava un lampo improvviso e frequente come un baleno. Quindi parlò: “ L’amore di cui ardo tuttora per la virtù (della speranza), la quale mi accompagnò fino al martirio e al termine della mia battaglia terrena, vuole che io riparli della speranza a te che dimostri d’amarla; e mi è gradito che tu mi dica che cosa essa ti promette”. E io risposi: “ Il Nuovo e il Vecchio Testamento assegnano la meta alle anime che vivono in grazia di Dio, e questa meta mi indica ciò che la speranza promette. Isaia (infatti) dice che ciascuna delle anime elette (ritornata) nella sua terra sarà rivestita di una duplice veste; e la sua terra e questa vita beata. E tuo fratello Giovanni Evangelista ci manifesta questa stessa rivelazione in modo assai più chiaro, là dove parla delle bianche vesti dei beati ”. E dopo la fine di queste parole, si udì dapprima cantare sopra di noi: “Sperino in te”, e a questo canto risposero tutte le corone danzanti dei beati. Poi in mezzo ad esse uno spirito divenne così fulgido che se la costellazione del Cancro avesse una stella tanto luminosa l’inverno avrebbe un mese fatto di un giorno solo. E come una sorridente fanciulla si alza e s’avvia ed entra nel cerchio della danza, non per vanità, ma solo per far onore alla novella sposa, così vidi lo spirito che aveva accresciuto il suo splendore venire verso i due (San Pietro e San Giacomo) che danzavano in circolo al ritmo del canto che era quale si conveniva alla loro ardente carità. Lì si unì a loro accordandosi al canto e alla danza; e la mia donna teneva lo sguardo fisso in loro, simile a sposa assorta e silenziosa. “Questi è l’apostolo Giovanni, colui che nell’ultima cena riposò sul petto di Cristo, e che fu scelto da Cristo in croce al grande compito di sostituirlo come figlio presso Maria. Così disse Beatrice; né per questo le sue parole distolsero il suo sguardo dal restare fisso sugli apostoli più di quanto lo avesse distolto prima di parlare. Come colui che aguzza lo sguardo e si sforza di vedere l’eclissi parziale di sole, e, per voler vedere troppo, restando abbagliato non vede più nulla, così divenni io dinanzi a quell’ultimo splendore finché mi fu detto (dal Santo): “Perché ti abbagli cercando di vedere una cosa che qui non può essere ? Il mio corpo in terra è diventato polvere, e vi starà con gli altri corpi finché il numero di noi beati sarà pari a quello stabilito dall’eternità nella mente divina. Con l’anima e con il corpo in paradiso si trovano solo Cristo e la Vergine, le due luci che poco fa sono salite all’Empireo; e questo tu riferirai giù nel vostro mondo ”. A queste parole la splendente danza dei beati cessò insieme alla soave mescolanza dei suoni che nasceva dal canto dei tre apostoli, così come, al suono del fischio del capovoga, per riposarsi o evitare un pericolo, si fermano tutti i remi, con i quali prima i rematori percuotevano regolarmente l’acqua. Ah quanto mi turbai nell’animo, quando mi volsi per guardare Beatrice, perché non potei vederla, sebbene fossi vicino a lei, e nel felice mondo dei beati!.Carlohttp://www.blogger.com/profile/18141817929890313062noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8066215317830025612.post-36287978143893849902012-05-22T10:57:00.004-07:002012-05-22T10:57:46.788-07:00Parafrasi: XXIV Canto (Paradiso)“O voi che siete stati scelti a partecipare al grande convito in cui si offre come cibo l’Agnello di Dio, il quale vi sazia con tanta abbondanza, che ogni vostro desiderio resta sempre appagato, se, per grazia divina, questi (Dante) pregusta le briciole che cadono dalla vostra mensa, prima che la morte gli segni il termine della sua vita mortale, considerate il suo immenso desiderio (di partecipare al vostro convito) e irroratelo alquanto ( della sapienza che possedete ): voi attingete sempre dalla fontana della sapienza dalla quale sgorga ciò a cui tende la sua mente. ” Cosi disse Beatrice; e quelle anime gaudiose assunsero la forma di sfere ruotanti intorno ad un’asse immobile, risplendendo, mentre si volgevano, con la luminosità di comete. E come le ruote nel meccanismo (tempra: letteralmente significa “ armonico accordo di suoni”) degli orologi girano con diversa velocità in modo che, a chi le osserva, la prima appare ferma, e l’ultima sembra volare, così quelle corone d’anime che danzavano girando con moto diverso, mi facevano valutare, in proporzione alla loro maggiore e minore velocità il loro grado di beatitudine. Dalla corona che mi appariva più bella (perché, come spiega il Buti. “era quella degli apostoli e discepoli di Cristo” ) vidi uscire una luce cosi splendente di beatitudine, che non lasciò, nella corona stessa, nessun’altra luce più fulgida; e tre volte girò intorno a Beatrice con un canto così divino (per contenuto e melodia ), che la mia immaginazione non è in grado di ripetermelo. Perciò la mia penna passa oltre e rinuncio a descriverlo, perché non solo la nostra parola, ma anche la nostra fantasia possiede mezzi inadeguati per esprimere la bellezza di quel canto. “ O mia santa sorella nella gloria celeste, che ci preghi così devotamente, con la forza della tua carità mi costringi a staccarmi da quella bella corona di beati. “ Poi, fermatasi, la luce benedetta rivolse la parola alla mia donna, dicendo ciò che ho riferito. Ed ella: “ O luce eterna di quel gránde uomo al quale il Signore nostro affidò le chiavi della mirabile beatitudine del paradiso che Egli aveva portato in terra, esamina costui, a tuo piacere, sulle questioni secondarie e fondamentali riguardanti la fede, quella virtù che ti fece camminare sulle acque del mare. Tu non ignori se egli possiede bene la carità e la speranza e la fede, perché il tuo sguardo è rivolto a Dio, nel quale i beati vedono ogni cosa come in uno specchio; ma poiché il regno celeste ha acquistato cittadini in virtù della vera fede, per glorificarla è bene che a costui (Dante) sia offerta l’occasione di parlare di essa”. Come il baccelliere, in attesa che il maestro proponga la questione, prepara le sue argomentazioni, senza parlare ancora, per addurre prove a favore della sua tesi, non per trarne le conclusioni, così, mentre Beatrice parlava, io mi preparavo intorno ad ogni problema, per essere pronto a rispondere a un tale esaminatore (quale era San Pietro) e a una tale professione ( quale è quella della fede). “ Dimmi, o buon cristiano, mostra (con le tue parole) quello che sei che cosa è la fede?” Per questo sollevai il viso verso la luce dalla quale provenivano queste parole; poi mi rivolsi a Beatrice, ed ella mi fece prontamente cenno di esprimere il mio pensiero “ La grazia divina che mi concede di fare la mia professione di fede” comincia’ a dire “ di fronte al suo primo campione, mi aiuti ad esprimere con chiarezza il mio pensiero.” E continuai: “ Come ci ha lasciato scritto la veritiera penna di San Paolo, colui che, o padre, ti fu compagno nell’avviare Roma sul retto cammino, la fede è il fondamento delle cose che speriamo di conseguire nella vita eterna ed è prova per credere alle cose che non vediamo; e questa mi sembra la sua essenza”. Allora udii queste parole: “ Tu pensi rettamente, se comprendi bene perché (San Paolo) definì la fede prima come “sostanza” e poi come “argomento” ”. Ed io di rimando: “ I profondi misteri che qui in cielo mi si rivelano, sono così nascosti agli occhi dei mortali, che (in terra) la loro esistenza è ammessa solo per un atto di fede, sul quale si fonda la speranza della beatitudine eterna; e perciò la fede assume la denominazione di “sostanza” (fondamento sostanziale delle cose sperate). E da questa fede, senza l’aiuto di altre prove, dobbiamo dedurre e dimostrare per via di ragionamento tutte le verità; perciò la fede assume la denominazione di “ argomento” ( prova delle cose non parventi) ”.Allora udii queste parole: “ Se tutto ciò che in terra si apprende per via di insegnamento, fosse compreso con tanta chiarezza, non ci sarebbe posto per discussioni da sofisti ”. Tali parole uscirono da quello spirito ardente di carità; poi soggiunse: “Ormai hai esaminato molto bene la lega e il peso di questa moneta (la fede): ma ora dimmi se tu la possiedi ”. Per cui io: “Si, la possiedo, così lucente (per la bontà della sua lega) e così rotonda (e quindi integra nel suo peso, perché non consumata sui bordi), che riguardo al suo conio non c’è nulla che possa costituire per me motivo di dubbio”. Poi udii queste parole dal profondo di quella luce che li splendeva: “ Questa gemma preziosa (la fede), che è fondamento di tutte le altre virtù, da chi e in che modo ti fu donata? ” Ed io: “ L’abbondante pioggia ( della divina ispirazione ) che dallo Spirito Santo scende sui libri del Vecchio e del Nuovo Testamento ( in su le vecchie e ‘n su le nuove cuoia: il termine cuoia indica qui le pergamene usate per fare i libri), è un argomento che mi ha dimostrato la certezza e la necessità della fede con tanta efficacia, che ogni altra dimostrazione mi sembra debole al suo confronto”. Io poi udii: “ L’Antico e il Nuovo Testamento che ti portano a questa conclusione, per quali ragioni li consideri ispirati da Dio? ”. Ed io: “ La prova che mi dimostra questa verità sono i miracoli avvenuti, per i quali la natura è nelle stesse condizioni di un fabbro che ha materia e mezzi limitati”. San Pietro mi rispose: “ Dimmi, chi ti assicura che quei miracoli siano realmente accaduti? Te lo attesta proprio e soltanto quel libro (la Sacra Scrittura ) di cui si vuole dimostrare (appunto per mezzo dei miracoli) la divina ispirazione, e non altre fonti”. “ Se il mondo si è convertito al Cristianesimo ” dissi “ senza miracoli, questo è un tale miracolo, cheCarlohttp://www.blogger.com/profile/18141817929890313062noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8066215317830025612.post-4151288933196707702012-05-22T10:57:00.002-07:002012-05-22T10:57:17.705-07:00Parafrasi: XXIII Canto (Paradiso)Come l’uccello, in mezzo alle fronde amate ( perché tra esse vi è il suo nido), dopo aver riposato presso il nido delle sue dolci creature durante la notte che ci nasconde tutte le cose, il quale, per poter vedere le care sembianze dei suoi nati e cercare il cibo con cui nutrirli, ricerca nella quale gli sono gradite (anche) le più dure fatiche, previene il sorgere dell’alba (fuori dal nido) posato su un ramo scoperto, e attende con vivo desiderio l’apparire del sole, guardando fissamente solo se spunti l’ alba, così Beatrice stava eretta e attenta, rivolta verso quella parte del cielo dove il sole sembra rallentare il suo corso: così che, vedendola assorta e ansiosa, il mio stato d’animo divenne uguale a quello di colui che desidera ciò che ancora non ha, e acquieta il suo animo con la speranza (di poter ottenere l’oggetto del suo desiderio ). Ma poco tempo trascorse tra l’uno e I altro momento, tra il momento dell’attesa, dico, e quello in cui vidi il cielo che si veniva sempre più rischiarando. E Beatrice disse: “ Ecco le schiere delle le anime redente dal sacrificio di Cristo e tutto il frutto Mi sembrava che il suo volto si illuminasse di un fulgore vivissimo, e i suoi occhi erano così pieni di letizia, che sono costretto a procedere oltre senza parlarne. Come nei pleniluni sereni la luna (Trivia: accanto a quelli di Ecate e di Diana, è il nome solitamente usato nella mitologia per indicare la luna) splende in mezzo alle stelle che dipingono con le loro luci il cielo in ogni sua parte, così vidi sopra migliaia di anime luminose uno splendore abbagliante (Cristo), che con la sua luce le accendeva tutte quante, come il nostro sole accende le stelle; e attraverso l’intensa luce (che si irradiava) traspariva la fulgidissima persona di Cristo tanto luminosa ai miei occhi, che essi non potevano sostenerla. Oh Beatrice mia dolce e amata guida! Ella mi disse: “ Ciò che vince la tua facoltà visiva è una forza a cui nessun altra può resistere. In questa luce è Cristo, la sapienza e la potenza che aprì (agli uomini ) la via per salire dalla terra al cielo, via che in passato fu lungamente desiderata ”. Come la folgore si sprigiona dalla nube (in cui è rinchiusa) poiché si dilata in modo tale da non potere più esservi contenuta, e contrariamente alla sua natura ( che la porterebbe a salire ) precipita verso terra, così la mia mente, dilatatasi in mezzo a quei cibi spirituali, uscì di se stessa, e non è in grado di ricordare quello che allora abbia fatto. “ Riapri gli occhi e guardami in tutto il mio splendore: tu hai veduto tali cose, che (ora) sei dotato di forza sufficiente a sostenere la luce del mio sorriso. ” Io ero nella stessa condizione di colui che si risveglia da una visione subito dimenticata e che invano si sforza di richiamarla alla memoria, quando udii l’invito di Beatrice, degno di tanta gratitudine (da parte mia), che non potrà mai cancellarsi dalla memoria, il libro che registra il passato. Se ora incominciassero a cantare tutti quei poeti che Polimnia (musa della poesia lirica) e le altre Muse sue sorelle nutrirono in abbondanza con il loro latte dolcissimo (la poesia), per aiutarmi, non si arriverebbe neppure a descrivere la millesima parte del vero, tentando di cantare il santo sorriso di Beatrice e come esso fosse reso più luminoso dalla divina presenza di Cristo; e così, nel descrivere il paradiso, è necessario che il poema sacro passi oltre ( quelle parti che non possono essere espresse con parole), come colui che trova il suo cammino tagliato da qualche ostacolo (e perciò è costretto a saltare per poter continuare la sua strada). Ma chi considerasse la difficoltà del tema e le deboli forze delle spalle mortali che si caricano di esso, non potrebbe biasimare se queste spalle tremano sotto il suo peso. Non è una rotta che possa essere percorsa da una piccola barca quella che la mia ardita nave va seguendo, né adatta a nocchiero che vuole risparmiare le proprie forze. “ Perché il mio volto ti attira a sé con tanta forza, che tu non ti volgi più a guardare le schiere delle anime beate che sbocciano, come fiori, sotto i raggi della luce di Cristo? In questo giardino si trova la rosa(la Vergine Maria) nella quale il Verbo divino s’incarnò; qui sono i gigli ( gli apostoli ), sotto la cui guida gli uomini intrapresero il cammino della vera fede.” Così disse Beatrice; ed io, che ero completamente disposto a seguire i suoi consigli, ritornai a mettere alla prova i miei deboli occhi (volgendoli di nuovo verso la figura di Cristo, che già li aveva abbagliati; cfr. verso 33). Come talvolta (sulla terra) i miei occhi, prima coperti d’ombra (perché il sole, velato dalle nubi, non li feriva ), videro un prato fiorito illuminato improvvisamente da un raggio di sole che filtrava limpido attraverso lo squarcio di una nube, allo stesso modo vidi numerose schiere di anime splendenti, illuminate dall’alto da raggi fulgenti (quelli di Cristo), senza che potessi scorgere la sorgente di questi raggi, O divina potenza di Cristo, che imprimi il sigillo della tua luce sui beati, ti sollevasti verso l’Empireo, per concedere ai miei occhi che non erano capaci di sostenere il tuo fulgore la possibilità di vedere li (osservando le luci meno intense delle anime trionfanti), Il nome della rosa, il bel fiore che io sempre invoco nella mie preghiere al mattino e alla sera, fece concentrare ogni mia facoltà nello sforzo di ravvisare (fra le luci dei beati, dopo che Cristo era asceso all’Empireo ) lo splendore più intenso (quello di Maria), Non appena l’intensità e la quantità della luce di Maria, che in cielo supera lo splendore dei beati, come in terra superò in virtù ogni altra creatura, si riflessero nei miei occhi, scese attraverso il cielo uno splendore di forma circolare simile a una corona, e cinse la luce di Maria girandole intorno. Qualunque melodia che sulla terra risuoni più dolcemente e avvinca a sé con più forza l’animo (degli ascoltatori), sembrerebbe un fragore di tuono, a paragone del canto di Gabriele, che faceva corona alla Vergine, la gemma più preziosa di cui si adorna il cielo più luminoso (I’Empireo). “ Io sono un angelo ardente d’amore che corono, girandovi intorno, la beatitudine che emana dal grembo che fu dimora di Cristo, supremo desiderio degli angeli e degli uomini; e continuerò a girare, o signora (donna: dal latino domina, “ padrona ”) del cielo, fino a che seguirai tuo figlio (già asceso all’Empireo), e renderai più splendente il cielo più alto per il fatto che tu vi ritorni. ” Così si chiudeva il canto dell’angelo che girava intorno alla Vergine, e tutti gli altri beati facevano eco ripetendo i} nome di Maria. Il nono cielo, che avvolge come in un regale mantello le altre sfere che ruotano intorno alla terra, e che più arde di desiderio e che più riceve vita dallo spirito e dalle leggi di Dio, aveva la sua faccia interna tanto distante dal luogo in cui noi eravamo, che il suo aspetto da dove mi trovavo, non era ancora visibile: e perciò (a causa di questa distanza) i miei occhi non poterono seguire la luce di Maria incoronata da (Gabriele, che si innalzò (verso l’Empireo) seguendo il figlio. E come il bambino che, dopo aver preso il latte, tende le braccia verso la mamma, per l’amore che si manifesta anche negli atteggiamenti esteriori, così ciascuna di quelle anime fulgenti si protese verso l’alto con la sua luce, dimostrandomi chiaramente il profondo affetto che nutrivano per Maria. Poi rimasero lì al mio cospetto, cantando “ Regina del cielo ” con tanta dolcezza, che mai scomparve dal mio animo il senso di gioia che provai (ascoltando quell’inno). Oh quanta è l’abbondanza di beatitudine che si raccoglie in quelle anime simili ad arche ricchissime di frumento, che quaggiù nel mondo furono buone seminatrici! In paradiso si vive e si gode dei meriti che l’uomo ha acquistato con le sofferenze e con il disprezzo delle ricchezze durante l’esilio terreno. In paradiso, accanto a Cristo e ai santi dell’Antico e del Nuovo Testamento, trionfa della vittoria (riportata sul male e sulle tentazioni del mondo) San Pietro, colui che custodisce 1e chiavi del paradiso.Carlohttp://www.blogger.com/profile/18141817929890313062noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8066215317830025612.post-83678330639643351572012-05-22T10:56:00.006-07:002012-05-22T10:56:56.114-07:00Parafrasi: XXII Canto (Paradiso)Sopraffatto dallo stupore (per il grido dei beati ), mi volsi verso la mia guida, come fanciullo che ricorre sempre alla madre, colei nella quale ha maggior fiducia; e Beatrice, come madre che subito viene in soccorso al figlio pallido e ansioso con le sue parole, che sogliono tranquillizzarlo, mi disse: “ Non ti ricordi che sei in paradiso ? e non sai che in paradiso tutto è santo, e che tutto quello che qui si fa deriva da carità ardente ? Ora, dopo che il grido dei beati ti ha tanto sconvolto, puoi comprendere quanto più ti avrebbero sconvolto il loro canto e lo splendore del mio sorriso (cfr. canto XXI, versi 58-60 e 4-12); e se tu avessi potuto capire la preghiera contenuta in quel grido, già ti sarebbe svelata la punizione divina che vedrai prima della tua morte. La spada della giustizia divina non colpisce né troppo presto né troppo tardi, eccetto che nel giudizio di colui che, desiderando la punizione divina o temendola per se, l’aspetta ( con ansia). Ma osserva ormai gli altri beati, perché vedrai anime molto famose, se rivolgi lo sguardo così come ti dico ”. Rivolsi gli occhi, come Beatrice desiderava, e vidi un numero infinito di piccole sfere che illuminandosi a vicenda splendevano più intensamente. Io ero nello stesso stato d’animo di colui che reprime in sé lo stimolo del desiderio, e non osa domandare, tanto teme di eccedere i limiti della discrezione; e la più grande e la più luminosa di quelle gemme si fece avanti, per appagare il mio desiderio rivelandomi il suo nome. Poi dentro la luce che l’avvolgeva udii: “Se tu conoscessi, come conosco io, la carità che arde in noi, avresti espresso il tuo pensiero ( senza timore di essere inopportuno ). Ma affinché tu, indugiando ( a parlare), non debba ritardare il raggiungimento della tua alta meta ( la visione di Dio nell’Empireo), risponderò alla domanda soltanto pensata che tu esiti così tanto ( a tradurre in parole). La vetta di quel monte sulle cui pendici sorge Cassino, fu un tempo frequentata da popolazioni immerse nelle false credenze del paganesimo e restie (ad accogliere la vera fede); ed io sono colui che per primo diffuse in quei luoghi il nome di Cristo, colui che portò sulla terra la verità che ci innalza alla beatitudine eterna; e risplendette sopra di me tanta grazia divina, che riuscii ad allontanare gli abitanti dei borghi circostanti dall’empio culto pagano che aveva attratto a sé tutto il mondo. Questi altri spiriti luminosi furono nella vita tutti dediti alla contemplazione, accesi di quell’ardente carità che produce pensieri e opere sante. Qui si trova Macario, qui si trova Romualdo, qui si trovano quei benedettini che rimasero fedeli alla vita del chiostro tenendosi stretti, con saldo cuore, alla regola ”. Ed io a lui: “ La carità che dimostri rivolgendomi la parola, e la benevola espressione che vedo e osservo nello aspetto luminoso di voi tutti, hanno accresciuto la mia fiducia così come fa il sole con la rosa quando essa (al calore dei raggi) si apre in tutta la sua pienezza. Perciò ti prego, e tu, padre, dimmi se sono degno di ottenere una grazia tanto grande, affinché possa vederti nella tua figura umana, liberata (dalla luce che la fascia)”. Per cui egli rispose: “ Fratello, il tuo alto desiderio sarà soddisfatto nell’ultimo cielo ( nell’Empireo, sede di Dio e reale dimora dei beati ), dove tutti desideri e perciò anche il mio ( che è quello di accogliere la tua richiesta) trovano il loro appagamento, Là ciascun desiderio e compiuto, giunto alla sua pienezza e senza difetti; solo in quest’ultimo cielo ogni parte è perfettamente immobile, perché (esso) non è nello spazio, e non ha i poli celesti intorno a cui girare; e la nostra scala sale fin lassù, per cui si sottrae così alla tua vista. Il patriarca Giacobbe, quando la scala gli apparve così piena di angeli (che salivano e scendevano) ne vide la cima protendersi fino all’ultimo cielo. Ma, per salirla, oggi nessuno alza i piedi da terra, e la mia regola è rimasta solo per sciupare la carta (dove viene trascritta). I monasteri che solevano essere rifugio di santa vita sono diventati spelonche di ladroni, e le tonache monacali son simili a sacchi pieni di farina guasta . Ma la più grave usura (frutto del denaro dato a prestito) non offende tanto profondamente la volontà di Dio, quanto l’avidità delle rendite ecclesiastiche che travia l’animo dei monaci, perché tutto ciò che la Chiesa custodisce, appartiene ai poveri che chiedono la carità in nome e per amore di Dio, non ai parenti degli ecclesiastici o ad altre persone che è preferibile non nominare ( concubine e figli naturali ). La natura umana è cosi debole, che giù nella terra un buon proposito iniziale (quale fu quello offerto dalla Regola di San Benedetto) non dura neppure per il periodo che va dalla nascita della quercia al suo fruttificare ( periodo che è di circa venti anni ). San Pietro diede inizio alla comunità della Chiesa senza possedere né oro né argento, ed io diedi inizio al mio ordine con le preghiere e i digiuni, e San Francesco con la umiltà. E se consideri il periodo iniziale di ciascuna comunità, e poi rifletti fino a che punto essa è degenerata, tu vedrai che il bianco si è mutato in nero (cioè: le virtù iniziali si sono cambiate negli opposti vizi). Tuttavia l’aver fatto retrocedere le acque del Giordano e aprire le acque del mare, quando Dio lo volle, furono cose più mirabili a vedersi di quello che sarà il rimedio divino a questa corruzione”. Così mi parlò, e poi si riunì alla sua schiera, e questa si chiuse in un gruppo compatto; poi, come un turbine, salì roteando verso l’Empireo. La mia dolce guida mi sospinse dietro a loro, su per quella scala, con un solo cenno, tanto la sua virtù riuscì a vincere il peso del mio corpo; e mai sulla terra, dove si sale e si scende con mezzi naturali vi fu un movimento così veloce da poter, si paragonare alla rapidità del mio volo. Così possa io tornare, o lettore, in paradiso per meritare il quale spesso piango i miei peccati e mi percuoto il petto, (come è vero) che io vidi la costellazione dei Gemelli, che segue quella del Toro, ed entrai in essa in un tempo più breve di quello che tu avresti impiegato a mettere e trarre il dito dal fuoco. O stelle dispensatrici di gloria, o luce piena di nobile potenza, all’influsso della quale devo attribuire tutto il mio ingegno, qualunque sia il suo valore, il sole, che ( con il suo calore ) è sorgente di ogni vita sulla terra, nasceva e tramontava in congiunzione con voi, allorché respirai per la prima volta l’aria di Toscana; e poi, quando mi fu concessa la grazia di salire nel cielo ( delle stelle fisse ), che girando provoca anche il vostro movimento, ebbi in sorte di giungere nella parte di questo cielo da voi occupato. A voi ora il mio animo s’ innalza devotamente, per acquistare la forza necessaria ad affrontare l’ardua prova che lo attira a se. “Tu sei così vicino a Dio ” cominciò Beatrice, “ che i tuoi occhi devono ormai essere limpidi e penetranti: e perciò, prima che tu penetri più profondamente nella visione divina (t’inlei: riferito a ultima salute), guarda verso il basso, e osserva quanta parte del mondo ti ho ormai fatto percorrere, così che il tuo cuore si presenti lieto, quanto più gli è possibile, alle schiere trionfanti che avanzano piene di gaudio in questa sfera celeste. ” Ripercorsi con lo sguardo tutti i sette cieli (che avevo attraversato), e vidi la sfera terrestre così piccola, che sorrisi della sua meschina apparenza; e riconosco come migliore il giudizio di coloro che più la disprezzano; e chi pensa alle cose celesti (invece che a quelle terrene ) si può chiamare veramente virtuoso. Vidi la luna (figlia di Latona e di Apollo, in quanto identificata, nella mitologia classica, con Diana) illuminata senza quelle macchie a causa delle quali io l’avevo ritenuta costituita da parti rare e dense. Qui, o Iperione, riuscii a sopportare la vista del sole, tuo figlio, e vidi, o Maia e Dione, come intorno e vicino a lui si muovono i pianeti (Mercurio e Venere ). Di li mi apparve l’influsso temperatore di Giove tra Saturno, suo padre, e Marte, suo figlio; e di li vidi chiaramente il variare delle loro posizioni. E tutti e sette i pianeti mi si mostrarono nella loro grandezza, e nella loro velocità, e nella distanza che intercorre fra la zona dell’uno e quella dell’altro. Mentre mi volgevo con la costellazione dei Gemelli, la terra, che, pur piccola come un’ala, ci rende tanto feroci (spingendoci gli uni contro gli altri per il possesso dei suoi efflmeri beni ), mi apparve tutta, dai suoi luoghi più alti fino a quelli più bassi, dove i fiumi sfociano in mare. Poi rivolsi i miei occhi verso quelli luminosi di Beatrice.Carlohttp://www.blogger.com/profile/18141817929890313062noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8066215317830025612.post-56432465656462974792012-05-22T10:56:00.004-07:002012-05-22T10:56:31.378-07:00Parafrasi: XXI Canto (Paradiso)Già i miei occhi erano nuovamente fissi nel volto della mia donna, e con gli occhi anche l’animo, che si era distolto da ogni altro oggetto. E Beatrice non sorrideva: ma cominciò a parlare dicendomi: “ Se ti mostrassi il mio riso, tu diventeresti come Semele, quando fu incenerita (per aver contemplato Giove nel fulgore della sua luce divina); perché la mia bellezza che, come hai potuto vedere, sempre più risplende, quanto più si sale per i cieli del paradiso, se non si moderasse, risplenderebbe tanto, che la tua facoltà visiva di uomo, di fronte al suo fulgore, sarebbe come una fronda che ‘ La folgore schianta. Noi siamo innalzati al settimo cielo di Saturno, il quale trovandosi. congiunto con la costellazione del Leone, irraggia ora sulla terra la sua influenza mescolata a quella del Leone. Fissa la tua attenzione in quel che vedranno i tuoi occhi, e fa che questi diventino specchi in cui si rifletta l’immagine che ti apparirà in questo cielo”. Chi sapesse qual era l’appagamento del mio sguardo nel contemplare l’aspettò beato di Beatrice, quando io volsi gli occhi ad altro, potrebbe capire, paragonando l’una cosa con l’altra (cioè il piacere di guardarla con quello di obbedirle), quanto mi era gradito obbedire alla mia guida celeste. Dentro al pianeta trasparente che girando intorno al mondo, porta il nome di Saturno, re caro al mondo perché sotto il suo governo ogni malizia umana rimase come spenta, vidi una scala del colore dell’oro su cui risplendeva un raggio di sole, la quale si alzava tanto verso l’alto, che i miei occhi non ne vedevano la cima. E vidi pure scendere giù per i gradini tanti spiriti luminosi, che io pensai che ogni luce che appare nel cielo si diffondesse da questa fonte. E come, secondo il loro istinto, le cornacchie, all’alba, volano a schiera per scaldarsi le ali intirizzite, poi alcune vanno via senza più tornare, altre ritornano al nido da dove erano partite, e altre girando intorno, restano là dove si trovano, in tal modo mi parve si comportassero qui quelle luci sfavillanti che scesero insieme dalla scala, non appena si imbatterono in un certo gradino. E lo spirito che si fermò più vicino a noi, divenne così splendente, che io dicevo dentro di me: “ Intendo bene l’amore che tu mi manifesti ( sfavillando ) ”. Ma Beatrice dalla quale aspetto l’indicazione di come e quando devo parlare o tacere, non fa cenno: perciò io, contro il mio desiderio, credo di agire bene non facendo domande. Per cui essa, che vedeva il motivo del mio silenzio attraverso la contemplazione di Dio che tutto vede, mi disse: “ Sciogli il tuo ardente desiderio di parlare ”. E io cominciai: “ Il mio merito non mi fa degno della tua risposta; ma per amore di colei che mi concede di interrogarti, o anima beata che te ne stai nascosta dentro alla luce, segno della tua letizia, dimmi il motivo che ti ha indotta a fermarti così vicino a me; e dimmi perché in questo cielo di Saturno non si ode il dolce canto paradisiaco, che nei cieli più bassi risuona tanto devoto ”. Mi rispose: “ La tua facoltà auditiva, come quella visiva, è d’uomo mortale; perciò qui non si canta per la stessa ragione per cui Beatrice non ha riso. Sono disceso tanto giù per i gradini di questa scala santa, solo per far festa a te con le parole e con la luce che mi riveste: né un amore più grande che negli altri spiriti mi fece più rapida a scendere; perché un amore maggiore o uguale al mio arde in ogni anima che è di qui in su, per questa scala, così come te lo manifesta il loro risplendere. Ma l’amore divino, che ci fa ancelle pronte ad ubbidire alla volontà divina governante il mondo, assegna in sorte qui a ciascuna di noi l’ufficio che essa compie, come tu vedi”. lo replicai: “ O anima santa che risplendi, io comprendo bene come in questa corte celeste il vostro libero amore basta a farvi eseguire i decreti della divina provvidenza; ma ciò che mi sembra difficile a capire è questo: perché tu sola, fra le tue compagne, fosti predestinata a questo ufficio (di venirmi a parlare) ”. Non avevo ancora pronunciato l’ultima parola, che lo spirito luminoso fece centro del suo punto mediano, girando su se stesso come una veloce macina: poi lo spirito ardente d’amore chiuso dentro la luce, rispose: “ La luce divina converge sopra di me, penetrando attraverso questa luce, nel cui seno sono racchiusa, e la sua potenza, unita alla mia intelligenza, m’innalza tanto al di sopra di me, che io riesco a vedere la suprema essenza, Dio, da cui quella luce deriva, Da questa visione viene la letizia di cui risplendo; perché io uguaglio la luminosità del mio splendore alla visione che io ho di Dio, per quanto essa riluce. Ma anche quell’anima che nel cielo più s’illumina di luce, anche quel serafino che più penetra con l’occhio in Dio, non potrebbe soddisfare alla tua domanda; poiché quello che tu chiedi si addentra tanto nel segreto degli eterni decreti di Dio, che è separato dall’intelligenza di ogni essere creato. E quando ritornerai, riferisci questo al mondo degli uomini, cosicché esso non ardisca più dl indirizzarsi verso una meta cosi alta. L’intelligenza umana, che qui in cielo risplende di luce, sulla terra è avvolta dal fumo dell’errore perciò considera come possa l’intelligenza in terra quello che non può neppure quando il cielo l’ha assunta nella sua gloria ”. Le sue parole mi segnarono il termine della questione, così che io l’abbandonai, e mi limitai a domandare umilmente all’anima chi fosse. “Tra le due sponde d’Italia (del Tirreno e dell’Adriatico), s’innalzano, non molto lontani dalla tua patria, i monti dell’ Appennino tanto alti, che i tuoni risuonano assai più in basso (durante i temporali ), e formano una gobba che si chiama Catria, sotto la quale c’è un sacro eremo ( il monastero di Fonte Avellana), il quale soleva essere destinato solo al servizio di Dio. Così l’anima riprese a parlarmi per la terza volta; poi, continuando, aggiunse: “ A Fonte Avellana mi dedicai con tanta vocazione al servizio di Dio, che solo con cibi conditi con olio d’oliva trascorrevo agevolmente le estati e gli inverni, pago della mia vita di contemplazione . Quel monastero soleva allora fruttare al paradiso larga messe di anime, ora è diventato così sterile, che presto ciò dovrà manifestarsi al mondo. In quel monastero io fui col nome di Pietro Damiano, e Pietro Peccatore mi chiamai nella comunità di Nostra Signora (presso Ravenna) sul litorale Adriatico”. Mi rimanevano pochi anni della mia vita mortale, quando fui chiamato e indotto a prendere quel cappello cardinalizio che oggi passa soltanto da un prelato cattivo a uno peggiore. San Pietro e San Paolo, il vaso d’elezione dello Spirito Santo vennero sulla terra affamati e scalzi, accettando il cibo da qualunque casa ospitale. Ora invece i moderni prelati vogliono chi li sorregga da una parte e dall’altra e chi li conduca, tanto son corpulenti!, e chi seguendoli tenga loro alzato lo strascico. Cavalcando, coi loro mantelli ricoprono anche i cavalli; sicché sotto una stessa copertutura procedono due bestie ( la cavalcatura e il cavaliere ): o pazienza di Dio che sopporti tanta vergogna ! ” A queste parole io vidi numerose luci scendere della scala di gradino in gradino e roteare su di se, e ad ogni giro diventare più luminose. Vennero a fermarsi attorno all’anima di Pier Damiano, ed emisero un grido cosi alto, che non potrebbe trovare un paragone in questa terra: né io potei capire le parole; tanto mi assordò il suo rimbombo simile ad un tuonoCarlohttp://www.blogger.com/profile/18141817929890313062noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8066215317830025612.post-3475512253037189772012-05-22T10:56:00.001-07:002012-05-22T10:56:06.046-07:00Parafrasi: XX Canto (Paradiso)Quando il sole che illumina tutto il mondo tramonta dal nostro emisfero tanto, che il giorno da ogni parte viene meno, il cielo, che prima era illuminato soltanto dalla sua luce, ridiventa improvvisamente visibile grazie ai molti astri, nei quali si riflette l’unica luce del sole: e questo fenomeno celeste mi venne in mente, non appena l’aquila, l’insegna dell’impero romano che unificò il mondo, e dei suoi imperatori, tacque col suo becco, poiché tutti quegli spiriti luminosi, risplendendo sempre di più, intonarono canti, caduti e dileguati dalla mia memoria. O dolce carità che ti avvolgi nel manto luminoso del tuo sorriso, quanto ti mostravi ardente in quegli spiriti che come flauti spiravano i loro canti mossi solo da santi pensieri! Dopo che le anime simili a lucenti gemme preziose, di cui avevo visto adornato Giove, il sesto pianeta, interruppero gli angelici canti, mi parve di udire il mormorio di un torrente che scende limpido giù di sasso in sasso, mostrando la ricchezza d’acqua della sua sorgente sulla vetta, E come il suono si modula nella parte più alta della cetra ( dove il suonatore fa scorrere le dita), e come il fiato che penetra nella zampogna acquista forma di suono ai fori di essa, Così, rimosso ogni indugio, il mormorio dell’aquila salì su per il collo come se questo fosse vuoto. Nel collo il mormorio divenne voce, e di qui attraverso il becco uscì in forma di parole, proprio come le desiderava il mio cuore, dentro il quale le impressi. L’aquila cominciò: “ Ora devi guardare attentamente il mio occhio, la parte: che nelle aquile terrene vede e sopporta la luce del sole, perché fra gli spiriti coi quali formo la mia figura, quelli onde l’occhio risplende nella mia testa, hanno il più alto grado di beatitudine fra tutti quelli del sesto cielo. Colui che risplende nel mezzo dell’occhio come pupilla, fu Davide, il cantore ispirato dallo Spirito Santo, che trasportò l’arca santa di luogo in luogo (fino a Gerusalemme); ora conosce quale fu il merito acquistato con i suoi Salmi, in quanto (I’accettazione dell’ispirazione divina) fu frutto della sua libera volontà, per il premio avuto che corrisponde al merito. Dei cinque spiriti che mi formano l’arco del ciglio, quello che è più vicino al mio becco, fu Traiano, colui che consolò la vedovella dell’uccisione del figlio: ora conosce quanto costi caro non aver la fede in Cristo, per l’esperienza che fa di questa vita beata e per quella fatta dell’ opposta vita nell’inferno. E lo spirito che viene dopo Traiano nel cerchio di cui sto parlando, nella parte superiore del mio arco ciliare, è Ezechia, colui che con la vera penitenza ritardò la morte: ora conosce che il giudizio eterno di Dio non cambia, anche se una preghiera meritoria ottiene di rimandare a domani ciò che sulla terra dovrebbe accadere oggi. L’altro spirito che segue è Costantino. colui che, con buona intenzione che diede (però) cattivi risultati, per cedere Roma al papa, fece greco se stesso (trasferendo la capitale a Bisanzio) con le leggi dell’Impero e con la sua insegna: ora conosce che il male causato dall’opera da lui compiuta con retta intenzione non gli è imputato a colpa, sebbene da ciò sia derivata la rovina del mondo. E lo spirito che vedi nella curva discendente dell’arco ciliare, fu Guglielmo, che è rimpianto dalla terra (di Puglia e di Sicilia ) la quale ora soffre per il malgoverno di Carlo II e Federico II, suoi attuali sovrani: ora conosce come Dio ami i re giusti, e dimostra anche con il fulgore del suo aspetto questa sua consapevolezza. Chi potrebbe credere laggiù in terra fra gli uomini soggetti ad errore, che il troiano Rifeo fosse il quinto spirito beato nell’arco del mio ciglio? Ora, anche se il suo sguardo non ne può distinguere il fondo, conosce abbastanza di quel mistero della grazia divina che il mondo non può conoscere ”. Come un’allodola che prima spazia nell’aria cantando, e poi tace sopraffatta dalla dolcezza finale del suo canto che la rende contenta, cosi la figura dell’aquila mi sembrò tacere soddisfatta del piacere ( provato parlando ), il quale è un’impronta del piacere divino, secondo la cui volontà ogni cosa diventa quella che è. E sebbene io davanti all’aquila fossi trasparente rispetto al dubbio che mi agitava come il vetro rispetto al colore che esso ricopre, il mio dubbio non tollerò di attendere in silenzio, ma dalla bocca mi spinse fuori con tutta la forza del suo peso la domanda: “ Che cosa sono queste cose (cioè: come può un pagano salvarsi)?”; per cui ( pronunciate quelle parole ) vidi un grande sfavillio di luci (da parte delle anime ). Immediatamente dopo, per non tenermi sospeso nello stupore, con l’occhio ancor più splendente, il benedetto segno dell’aquila mi rispose: “ Io vedo che tu credi a queste cose perché te le ho dette io, ma non comprendi come (i due pagani siano salvi), cosicché, anche se tu le credi, queste cose restano oscure ( al tuo intelletto). Fai come colui che impara sì il nome di una cosa, ma non può conoscerne l’essenza se altri non gliela manifesta. Il regno dei cieli sopporta violenza solo da parte dell’amore ardente e della speranza da esso vivificata, che vincono la divina volontà; non la vincono con la violenza come un uomo che sopraffà un altro, ma perché essa vuole essere vinta, e, nel momento stesso in cui è vinta, vince con la sua bontà. La prima anima fra quelle che formano il mio ciglio e la quinta ti fanno stupire, perché vedi il paradiso, la regione degli angeli, adorno della loro presenza. Questi due spiriti non uscirono pagani dai loro corpi, come ritieni, ma cristiani, credendo fermamente Rifeo nella futura redenzione e Traiano nella redenzione già operata da Cristo crocifisso. Perché l’anima di Traiano dall’inferno, da dove non si può ritornare mai alla volontà di operare il bene, tornò a riprendere il corpo; e ciò fu premio dell’ardente speranza (di San Gregorio Magno); di quell’ardente speranza, che nelle preghiere fatte a Dio per risuscitare l’anima di Traiano infuse una forza tale che la volontà del risorto potesse essere mossa ( alla fede e al pentimento). L’anima gloriosa di Traiano di cui si sta parlando, tornata nel corpo, nel quale restò poco tempo, credette in Cristo che poteva salvarla: e credendo si accese di tale fuoco di amore di Dio, che, giunta alla morte per la seconda volta, fu degna di salire alla gioia del paradiso. L’anima di Rifeo, in virtù della grazia divina che deriva da una sorgente cosi profonda, che mai nessuna creatura poté spingere l’ occhio fino al punto da cui sgorgano le sue acque, vivendo sulla terra indirizzò tutto il suo amore alla giustizia; per questo Dio, aggiungendo grazia a grazia, gli rivelò la nostra futura redenzione: per cui egli credette in essa, e da allora in poi non tollerò più il nauseante paganesimo: e ne rimproverava le genti sviate in quell’errore. Più di mille anni prima dell’istituzione del battesimo a lui valsero come battesimo quelle tre donne (Fede, Speranza e Carità) che tu vedesti (nel paradiso terrestre) alla destra del carro della Chiesa ( cfr. Purgatorio XXIX, 121-129). O predestinazione, quanto è distante la tua profonda ragione dagli intelletti umani che non possono vede intera l’essenza divina, causa prima di tutte le cose! E voi, mortali, siate cauti nel giudicare, perché nemmeno noi, che pure vediamo Dio direttamente, conosciamo ancora tutti gli eletti futuri; e ci è dolce tale limite imposto alla nostra conoscenza, perché la nostra felicità si perfeziona appunto in questo piacere, per cui tutto quello che Dio vuole, anche noi vogliamo ”. In questo modo da quella divina figura dell’aquila, per rischiarare la mia limitata intelligenza, mi fu data questa spiegazione, fonte di dolcezza. E come labile suonatore di cetra accorda il suono delle vibranti corde alla voce del buon cantore, per cui il canto diventa più piacevole, così, durante il discorso dell’aquila, ricordo che vidi le due anime luminose (di Traiano e di Rifeo), proprio con la stessa simultaneità con la quale battono le palpebre degli occhi, muovere le loro fiammelle in accordo con le parole dell’aquila.Carlohttp://www.blogger.com/profile/18141817929890313062noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8066215317830025612.post-73845823450863949562012-05-22T10:55:00.004-07:002012-05-22T10:55:47.941-07:00Parafrasi: XIX Canto (Paradiso)Davanti a me si mostrava con le ali aperte la bella figura dell’aquila che era formata dalle anime riunite insieme, liete nel godimento della loro beatitudine: ogni anima sembrava un piccolo rubino nel quale risplendesse un raggio di sole così vivo, da riflettere nei miei occhi il sole stesso. E quello che ora devo raccontare, non fu mai detto, né scritto, né concepito da alcuna fantasia, perché io vidi e anche udii il becco dell’ aquila parlare, e dire con la sua voce “ io ” e “ mio ”, mentre logicamente avrebbe dovuto dire “ noi ” e “ nostro ”. E l’ aquila cominciò: “ Per aver esercitato (sulla terra) giustizia e pietà io sono qui innalzata alla gloria celeste che supera (non si lascia vincere) ogni umano desiderio; e sulla terra lasciai una tale memoria di me, che perfino le genti malvage del mondo sono costrette a lodarla, anche se non imitano le opere da me compiute (la storia)”. Come da molti carboni accesi proviene un unico calore, così ora da parte di molti spiriti ardenti di carità usciva un’unica voce dalla figura dell’ aquila. Perciò io subito dopo dissi: “ O fiori immortali della gioia eterna, che mi fate sembrare una sola tutte le vostre voci, allo stesso modo in cui da molti fiori emana un unico profumo, scioglietemi, parlando, il grave dubbio che da lungo tempo mi tormenta, non trovando per esso sulla terra alcuna soluzione soddisfacente. Io so bene che se la giustizia divina in cielo si specchia direttamente in un altro ordine di intelligenze, tuttavia anche (nella vostra sfera) si manifesta senza essere offuscata da alcun velo. Voi sapete come mi preparo ad ascoltarvi con attenzione; voi sapete qual è il dubbio che costituisce per me un tormento così antico ”. Come il falcone che viene liberato dal cappuccio, alza il capo e muove festoso le ali, dimostrando il desiderio (di alzarsi in volo) e aggiustandosi le penne col becco, così vidi atteggiarsi l’aquila , che era formata di anime che lodavano la grazia divina, con canti che conosce solo chi è beato lassù. Poi comincio: “ Dio, colui che creando girò il compasso a tracciare gli estremi confini del mondo, e in questo dispose ordinatamente tante cose occulte e visibili, non poté imprimere la sua infinita perfezione in tutto l’universo in modo tale, che l’idea della sua mente non restasse infinitamente superiore rispetto alle cose create. E ciò è confermato dal fatto che Lucifero, il quale fu la più alta creatura, per non aver atteso la luce della Grazia, precipitò imperfetto dal cielo: e di qui appare chiaro che ogni creatura inferiore (a Lucifero) è un vaso troppo piccolo per contenere Dio, il Bene infinito, il quale non può essere misurato se non con se stesso. Dunque la nostra intelligenza, che deve essere un raggio riflesso della mente divina di cui sono piene tutte le cose, non può, sua natura, essere tanto potente da non dovere riconoscere che la mente di Dio, suo principio, va molto al di là di quello che essa può vedere. Perciò l’intelletto che voi mortali ricevete (dal Creatore), si può addentrare nella giustizia divina, come l’occhio può vedere nelle profondità del mare; il quale occhio, benché dalla riva riesca a scorgere il fondo, non lo vede più quando si trova in alto mare; e tuttavia il fondo c’è, ma lo nasconde la sua profondità. Non c’è (per l’intelletto umano) luce di verità, se non viene dalla luce eternamente serena (della mente divina); quella che non viene di là è ignoranza , o nozione offuscata dai sensi (della carne), o velenoso errore provocato da essi. Adesso ti è possibile guardare nella segreta profondità che ti celava la giustizia del Dio vivente, per cui ti ponevi una domanda così frequentemente ripetuta; poiché tu dicevi: “Un uomo nasce sulle rive del fiume Indo, e qui non c’è né chi parli né chi insegni né chi scriva di Cristo; e tutti i suoi sentimenti e i suoi atti sono buoni, per quanto può giudicare la ragione umana, senza peccato nelle opere o nelle parole. Costui muore senza battesimo e senza la fede: che giustizia è questa che lo condanna? dove sta la sua colpa, se egli non crede?” Ora chi sei tu che vuoi salire sul seggio del giudice, per dare un giudizio su cose lontane da te mille miglia con la tua vista che non vede al di là di un palmo? Certamente avrebbe motivo di dubitare colui che fa sottili ragionamenti riguardo al mistero della giustizia ( meco: l’aquila è simbolo della giustizia), se a guidarvi non ci fosse la Sacra Scrittura. Oh uomini che vivete come bruti! oh ottuse menti umane! La volontà divina, che è buona per sua natura, non si allontana mai dal principio con il quale si identifica, il sommo Bene. E’ giusto tutto quello che si conforma a lei: nessun bene creato può‘ attrarre a se la volontà divina, anzi proprio essa, irradiandosi, genera il bene creato ”. Come la cicogna dopo aver nutrito i figli gira volando sopra il nido, e come il cicognino che si è pasciuto volge gli occhi verso di lei, così fece la benedetta figura dell’aquila, che agitava le ali mosse dalle molteplici volontà concordi (degli spiriti da cui era formata), io (come il cicognino) alzai gli occhi a guardarla. Girando intorno cantava, e diceva: “ Come riescono incomprensibili le parole del mio canto a te, che non sei capace d’ intenderle, così è incomprensibile il giudizio divino a voi mortali ”. Dopo che quelle luci, che erano fiamme di carità accese dallo Spiríto Santo, si fermarono sempre disposte nella figura dell’aquila che rese i Romani degni di riverenza davanti al mondo, l’aquila riprese: “ In paradiso non salì mai nessuno che non avesse creduto in Cristo, sia prima sia dopo che egli fosse inchiodato sulla croce. Ma considera questo: molti che gridano “Cristo, Cristo!”, nel giorno del giudizio finale saranno assai meno vicino a Lui del pagano che non lo ha conosciuto; e (anche) un infedele etiope potrà condannare siffatti cristiani, quando (nel giorno del giudizio) si divideranno le due schiere (collegi, l’una destinata all’eterna ricchezza (del paradiso), e l’altra destinata all’eterna miseria (dell’inferno) . Che cosa non potranno dire gli infedeli persiani ai vostri principi, quando vedranno aperto il libro nel quale sono registrate tutte le loro azioni spregevoli ? In quel libro si vedrà scritta, tra le imprese dell’imperatore Alberto I, quella che presto indurrà la penna divina a registrarla, e a causa della quale sarà devastato il regno di Boemia con Praga, la sua capitale. In quel libro si vedrà il doloroso danno che, falsificando la moneta arrecherà alla Francia Filippo il Bello che morirà per il colpo di un cinghiale. In quel libro si vedrà la superbia sitibonda di dominio, che acceca il re di Scozia e quello d’lnghilterra, in modo che nessuno dei due può sopportare di rimanere entro i propri confini. Si vedranno la lussuria e la vita effeminata del re di Spagna e del re di Boemia, che mai seppe né mai volle sapere che cos’è la virtù. Si vedranno segnate le opere dello Zoppo di Gerusalemme, le opere buone con una I, mentre quelle malvage con una M. Si vedranno l’avarizia e la viltà di colui che regna sulla Sicilia, l’isola del fuoco etneo, dove Anchise terminò la sua lunga vita; e per far capire che uomo dappoco egli sia, la scrittura che lo riguarda sarà in parole abbreviate, che noteranno in poco spazio molte opere malvage. E saranno visibili a ognuno le opere vergognose dello zio e del fratello di Federico, che hanno disonorato la così nobile stirpe degli Aragonesi e le due corone d’Aragona e di Sicilia. E lì si saprà chi furono il re di Portogallo e quello di Norvegia, e il re di Rascia, che per proprio danno conobbe la moneta veneziana. Oh felice l’Ungheria se non si lascia più malmenare dai suoi re ( come nel passato)! e felice il regno di Navarra se si fa scudo dei Pirenei che lo circondano! E ognuno sappia che ora, come saggio (di quello che accadrà all’Ungheria e alla Navarra), Nicosia e Famagosta si lamentano e gridano per la tirannia del loro re bestiale, il quale non si scosta dall’esempio degli altri re, simili a bestie come lui.Carlohttp://www.blogger.com/profile/18141817929890313062noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8066215317830025612.post-60796666113574670082012-05-22T10:55:00.002-07:002012-05-22T10:55:24.775-07:00Parafrasi: XVIII Canto (Paradiso)Cacciaguida, specchiando in se divina luce beatificante, già godeva silenzioso del proprio pensiero, ed io assaporavo il mio, cercando di contemperare quello che mi era stato detto di doloroso con quello che mi era stato detto di gradevole. E Beatrice, che mi guidava a Dio, mi disse. “ Lascia il pensiero dell’esilio: considera che io sono vicino a Dio (colui) che allevia ogni torto”. Io mi volsi alle amorose parole della mia consolatrice; e qui rinuncio a descrivere la luce di carità che io allora vidi nei suoi santi occhi; non solo perché diffido della capacità espressiva delle mie parole, ma anche perché la mia memoria non può ritornare tanto sopra se stessa (e ricordare), se Dio non la guida (con la sua Grazia). Di quel momento posso ricordare solo che, fissandola, il mio cuore fu libero da ogni altro desiderio, mentre l’ eterna bellezza di Dio, che raggiava direttamente in Beatrice, mi appagava col raggio riflesso dai begli occhi di lei. Abbagliandomi con la luce di un suo; sorriso, ella mi disse: “ Volgiti (a Cacciaguida) e ascolta, perché non solo nei miei occhi (ma anche in quelli degli altri beati ) risplende la gioia del paradiso”. Come talvolta quaggiù sulla terra il sentimento interiore si manifesta negli occhi, allorché è tanto grande da prendere tutta l’anima, cosi nel ravvivato splendore della luce santa di Cacciaguida, al quale mi volsi, riconobbi il suo desiderio di parlarmi ancora un poco. Egli cominciò: “In questo quinto cielo del paradiso, che è come un albero che trae la vita da Dio, sua cima, e produce continuamente frutti senza mai perdere nessuna foglia, si trovano spiriti beati, i quali sulla terra, prima di venire in cielo, furono circondati da grande fama, così che qualsiasi poeta potrebbe trovare ricca materia di canto (nelle loro imprese). Perciò fissa lo sguardo sui quattro bracci della croce: ogni spirito che io chiamerò per nome, trascorrerà da un braccio all’altro con la velocità con la quale il lampo solca la nube che lo ha generato ”. Al nome di Giosuè, nel momento stesso in cui veniva pronunciato, io vidi una luce muoversi lungo la croce; né il suono del nome fu percepito da me (mi fu noto) prima del muoversi della luce. E al nome del glorioso Giuda Maccabeo vidi un altro spirito muoversi girando su se stesso, e la gioia era come la frusta che (colpendola) fa girare la trottola. Allo stesso modo al nome di Carlo Magno e di Orlando il mio sguardo attento seguì il movimento di altre due luci, come l’occhio del falconiere segue il falcone in volo. Poi Guglielmo d’Orange, e Renoardo, il duca Goffredo di Buglione, e Roberto il Guiscardo attrassero il mio sguardo lungo quella croce. Quindi, l’ anima di Cacciaguida che mi aveva parlato, muovendosi e mescolandosi agli altri spiriti, mi fece sentire quale artista fosse tra i cantori del cielo ( di Marte). Io mi volsi verso destra per farmi indicare da Beatrice o con parole o con cenni quello che dovevo fare; e vidi i suoi occhi tanto luminosi, tanto gioiosi, che il suo aspetto superava in bellezza tutti gli altri precedenti, perfino l’ultimo. E come l’uomo si accorge che la sua virtù cresce di giorno in giorno, perché prova una gioia sempre più profonda nel fare il bene, così io, vedendo più bello il miracoloso aspetto di Beatrice, m’accorsi che l’arco del mio giro intorno alla terra insieme al cielo, aveva una circonferenza più ampia (essendo salito in un cielo superiore e quindi più ampio). E come muta rapidamente il colore in un bianco volto di donna, quando questo si libera dal rossore della vergogna ( ritornando al colore naturale ), altrettanto rapido fu il mutamento di colore che apparve ai miei occhi, quando mi distolsi (dal guardare Beatrice), a causa del candore temperato del sesto cielo (di contro al colore rosso del cielo di Marte ), che m’aveva accolto dentro di se. Nella luminosa stella di Giove io vidi lo sfavillio degli spiriti, che lì risplendevano d’amore, disegnare davanti ai miei occhi le lettere dell’alfabeto. E come gli uccelli levatisi in volo dalle rive di un fiume come se si rallegrassero tra loro per il cibo trovato , si dispongono in schiera ora circolare ora d’altra forma, così avvolti nella loro luce, i santi spiriti, volando qua e là, cantavano, e assumevano la figura ora di una D, ora di una I, ora di una L. Dapprima, cantando, si muovevano sul ritmo del loro canto; poi, assumendo la forma di una di queste lettere, si arrestavano un poco e tacevano. O celeste musa che fai gloriosi e rendi immortali i poeti, ed essi col tuo aiuto rendono immortale la fama delle città e dei regni, illuminami con la tua luce, in modo che io possa rappresentare efficacemente le figure disegnate da questi spiriti, così come si sono impresse nella mia mente: appaia il tuo potere in questi miei versi inadeguati (alla materia trattata)! Apparvero dunque trentacinque vocali e consonanti; ed io fissai nella memoria le lettere componenti ciascuna parola, nell’ordine in cui mi si mostrarono espresse in figura. “Amate la giustizia” furono il primo verbo e il primo nome della frase dipinta nel cielo: “voi che siete giudici in terra ” furono le ultime parole. Poi le anime rimasero ferme e disposte nella figura della emme, ultima lettera dell’ultima parola, così che in quel punto il pianeta Giove appariva come argento ornato di rilievi d’oro. E vidi altre anime scendere (dall ‘Empireo) sul punto più alto della emme, e li fermarsi cantando un inno, credo a Dio, il Bene che le attrae a se. Poi come dai ceppi arsi dal fuoco, quando vengono percossi, si sprigionano innumerevoli faville, dalle quali gli stolti sogliono trarre favorevoli auspici per se, così si videro alzarsi dal colmo dell’emme moltissime luci, e salire (verso l’alto) qual più e qual meno, a seconda del grado di beatitudine che Dio, il sole che le accende (d’amore), ha dato loro in sorte; e allorché ognuna si fu fermata al suo posto, vidi che esse avevano formato la figura della testa e del collo di una aquila in quell’oro che prendeva rilievo sullo sfondo argenteo del cielo di Giove, Dio, che così dipinge nel cielo di Giove, non ha maestri, ma Egli stesso è il maestro, e da lui deriva la virtù generativa che dà vita agli esseri nelle loro dimore terrene. Le altre anime beate, che prima apparivano paghe di assumere la forma del giglio nella lettera emme, con piccoli spostamenti completarono la figura . O dolce pianeta Giove, quali e quante anime luminose mi mostrarono ( prima col loro canto e poi con la figura dell’aquila, simbolo dell’Impero e della giustizia che esso solo può realizzare ) che la giustizia umana deriva dall’influsso del cielo che tu adorni con il tuo splendore! Perciò prego Dio, dal quale prende inizio il tuo movimento e il tuo potere di influsso, affinché rivolga la sua attenzione al luogo da cui esce il fumo che offusca la tua luce, in modo che Egli si adiri una seconda volta per i commerci che si fanno nel la Chiesa che fu edificata con i miracoli e il martirio (di Cristo e dei suoi santi). O anime beate del cielo di Giove, che io contemplo (nella mia memoria), pregate per i mortali, che hanno deviato dalla giusta via per il cattivo esempio ( degli uomini di chiesa) ! Un tempo si era soliti fare la guerra con le armi, ma ora si fa sottraendo ai fedeli, or qua or 1à, il pane spirituale che il misericordioso Padre celeste non nega a nessuno. Ma tu che scrivi ( i decreti di scomunica ) solo per annullarli poi ( per denaro ), pensa che Pietro e Paolo, che morirono per la Chiesa che tu ora vai distruggendo, sono ancora vivi (in cielo e pronti a chiedere vendetta a Dio). È probabile che l'apostrofe sia rivolta a Giovanni XXII, pontefice dal 1316 al 1334, il quale con ogni mezzo "raunò infinito tesoro" (Villani Cronaca XI, 20 ) . Alcuni interpreti hanno proposto il nome di Bonifacio VIII e di Clemente V, per altro già morti al tempo in cui Dante scrive questi versi. A buon diritto puoi dire: “ Il mio desiderio è volto con tanta forza a San Giovanni Battista, colui che volle vivere solitario nel deserto e che fu martirizzato per premiare una danza, che io non mi curo né di San Pietro né di San Paolo”.Carlohttp://www.blogger.com/profile/18141817929890313062noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8066215317830025612.post-3464380791511402642012-05-22T10:54:00.000-07:002012-05-22T10:54:56.370-07:00Parafrasi: XVII Canto (Paradiso)Come Fetonte, l’esempio del quale rende ancor oggi i padri restii a indulgere alle richieste dei figli, andò dalla madre Climene, desideroso di accertarsi se era vero ciò che aveva udito contro di se; così ero io ansioso di sapere, e questo stato d’animo era avvertito e da Beatrice e dall’anima santa di Cacciaguida, che prima per parlare con me aveva cambiato posto (scendendo ai piedi della croce luminosa ). Perciò la mia donna mi disse: “ Esprimi il tuo ardente desiderio, in modo che l’intensità interiore appaia bene evidente esternamente, non già perché la nostra conoscenza aumenti per le tue parole, ma perché ti abitui ad esprimere la sete del tuo desiderio, Così che gli altri ti possano appagare ”. “O cara radice della mia famiglia, che t’innalzi così in alto, che, come la mente dei mortali vede che due angoli ottusi non possono essere contenuti in un triangolo, con la stessa chiarezza discerni le cose che possono essere o non essere prima che esistano in atto contemplando la divina essenza, il punto in cui tutti i tempi sono presenti, mentre seguivo Virgilio su per il monte del purgatorio che purifica le anime e mentre discendevo nel mondo dei dannati, mi furono dette parole preoccupanti riguardo alla mia vita futura, sebbene io mi senta incrollabile ( tetragono: il termine indica ogni figura geometrica dotata di quattro angoli e, in particolare, il cubo), di fronte ai colpi della fortuna (di ventura). Perciò l’animo mio è ansioso di conoscere quale sorte mi viene incontro, perché il colpo previsto sembra avanzare più lentamente”. Cosi io dissi a quella luce che prima mi aveva parlato; e manifestai il mio desiderio come aveva voluto Beatrice. Non con oracoli oscuri, nei quali un tempo si invischia, vano le genti pagane prima che fosse ucciso Gesù, l’ Agnello di Dio che riscatto i peccati del mondo, ma con parole chiare e con preciso linguaggio mi rispose quel padre amoroso, avvolto nella sua luce e visibile a causa della sua letizia: “Ciò che può essere o non essere, che non oltrepassa la sfera del vostro mondo materiale ( perché nel mondo divino esiste solo l’eterno e il necessario), è tutto presente nel pensiero di Dio: Tuttavia non per questo ciò che è contingente diventa necessario, così come una nave che discende lungo la corrente (può essere osservata, ma) non deriva il suo moto dall’occhio nel quale si specchia. Dalla visione del pensiero eterno di Dio così come dall’organo giunge all’orecchio una dolce armonia, mi viene davanti agli occhi il futuro che ti si prepara. Come Ippolito se ne andò da Atene per le calunnie della spietata e perfida matrigna, così tu dovrai andartene da Firenze. Questo si desidera e questo già si cerca di attuare, e presto sarà fatto da parte di chi ordisce tali macchinazioni là (nella curia pontificia) dove ogni giorno si fa mercato della religione. La colpa, come al solito, sarà attribuita dall’ opinione pubblica alla parte vinta, ma la punizione darà testimonianza della verità, la quale assegna giustamente i suoi castighi. Tu dovrai lasciare ogni cosa più cara; e questo è il colpo doloroso che prima di tutto ti infliggerà l’ esilio. Tu proverai quanto sia amaro il pane chiesto agli altri, e quanto sia duro cammino scendere e salire le scale delle case; altrui. E quello che ti riuscirà più gravoso, sarà la compagnia cattiva e sciocca con la quale ti troverai precipitando in questa miseria essa si volgerà contro di te piena di ingratitudine, dissennata e piena di odi, ma poco dopo, essa, non tu, ne avrà le tempie rosse di sangue. Il suo modo di agire costituirà la prova della sua folle sconsideratezza, così che sarà motivo di onore per te l’aver fatto partito per te stesso. Il tuo primo rifugio, la tua prima dimora ospitale ti sarà offerta dalla liberalità del grande lombardo che ha per suo stemma una scala sormontata dall’aquila imperiale; così benevola sarà la considerazione che nutrirà nei tuoi riguardi, che, nei rapporti tra voi due, rispetto all’esaudire un desiderio e all’esprimerlo, sarà primo (non colui che chiede ma) colui che esaudisce, il quale, normalmente, agisce dopo che il primo ha espresso il desiderio. Con Bartolomeo vedrai Cangrande, colui che, al momento della nascita, ricevette un così forte influsso da questo cielo, che le sue azioni diventeranno memorabili. a lui solo da nove anni (Cangrande, infatti, nacque nel 1291 e Dante immagina di compiere il suo viaggio nell’oltretomba nel 1300); ma prima che il papa guascone Clemente V inganni l’imperatore Arrigo VII, appariranno i primi segni della sua virtù nel disprezzo del denaro e della fatica. Le sue splendide imprese saranno allora così conosciute, che i suoi stessi nemici non le potranno tacere. Affidati a lui e ai suoi benefici; per opera sua cambierà condizione molta gente, poiché i ricchi diventeranno poveri e i poveri diventeranno ricchi. Porterai scolpite nella tua memoria queste cose che lo riguardano, ma non le dirai ”; e rivelò fatti incredibili persino per coloro che li vedranno accadere. Poi aggiunse: “ Figlio, queste sono le spiegazioni di quello che ti fu detto (nell’inferno e nel purgatorio riguardo al tuo esilio ); ecco le insidie che si preparano (per te) nello spazio di pochi anni ( dietro a pochi giri: dietro a pochi giri di sole). Non voglio però che tu porti odio ai tuoi concittadini, poiché la tua vita (per mezzo della fama) si prolungherà nel tempo ben oltre il momento nel quale essi riceveranno la punizione della loro perfidia ”. Dopo che, tacendo, l’anima santa di Cacciaguida si mostrò libera dal compito di rispondermi (letteralmente: di mettere la trama in quella tela di Cui le avevo presentato l’ordito con le mie domande), io cominciai, come colui che, nel dubbio, desidera il consiglio della persona che è capace di distinguere la verità e che agisce rettamente e ha una caritatevole disposizione: “ Ben vedo, padre mio, come il tempo incalza contro di me, per infliggermi un colpo di tale gravità, che riuscirà più pesante a chi vi si abbandonerà senza reagire; per questo motivo è bene che io sia previdente, in modo che, se mi è tolta la patria, io non debba perdere a causa dei miei versi la possibilità di rifugiarmi in altri luoghi. Scendendo nell’inferno, il mondo del dolore eterno, e salendo sul monte del purgatorio, dalla cui bella cima gli occhi di Beatrice mi hanno sollevato (alle sfere celesti ) , e poi attraverso il paradiso di cielo in cielo, ho appreso cose che, se le riferisco avranno per molti un sapore fortemente aspro; e se ( tacendo per paura ) mi mostro timido amico della verità, temo di perdere fama tra i posteri (coloro che questo tempo chiameranno antico). ” La luce nella quale splendeva Cacciaguida, la gemma che avevo trovato in quel cielo, dapprima divenne più fulgida, simile a una lamina d’oro investita dal raggio del sole, poi rispose: “Colui che ha la coscienza macchiata o dalle proprie colpe o da quelle di parenti e amici sentirà certamente la durezza delle tue parole. Ma nondimeno, messa da parte ogni menzogna, rivela tutto ciò che hai visto; e si dolga pure delle tue parole chi è in colpa ( lascia pur grattar dov’è la rogna: lascia pure che si gratti chi è affetto da rogna), Perché se le tue parole riusciranno sgradite ad un primo assaggio, lasceranno poi un nutrimento vitale, non appena saranno state digerite . Queste tue affermazioni faranno come il vento, che percuote più violentemente le cime più alte, e questo ( la proclamazione della verità fatta senza paura ) non costituisce piccolo motivo d’onore; Per tale ragione in questi cieli, nel purgatorio e nell’inferno, ti sono stati mostrati solo spiriti di persone famose, perché l’animo di chi ascolta non si appaga né presta fede ad esempi che si fondano su cose o persone sconosciute e non sufficientemente evidenti, né su altre dimostrazioni di scarsa apparenza ”.Carlohttp://www.blogger.com/profile/18141817929890313062noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8066215317830025612.post-41034971689084101582012-05-22T10:53:00.004-07:002012-05-22T10:53:28.142-07:00Parafrasi: XVI Canto (Paradiso)O nostra nobiltà di sangue, che sei cosa di si poco conto, se induci gli uomini a gloriarsi di te quaggiù sulla terra, dove il nostro amore (verso Dio) ha scarsa forza (poiché si lascia attrarre dai beni mondani), per me ormai non sarai più causa di meraviglia, perché lassù , voglio dire in cielo, dove il nostro desiderio non può mai essere deviato dalla retta via, io pure mi gloriai di te. Certo tu sei come un mantello che presto diventa corto, così che, se non si aggiunge ogni giorno qualcosa ad esso (cioè alla virtù degli antenati), il tempo accorcia questo mantello girandovi intorno con le forbici . Io ripresi il mio discorso (con Cacciaguida) usando il “voi” che Roma per prima permise, uso nel quale (ora) la sua popolazione persevera meno delle altre; perciò Beatrice, che stava un poco discosta da me, sorridendo, parve fare come la dama di Malehaut, quella che tossì in occasione del primo colloquio d’amore di Giinevra raccontato nei romanzi francesi. Io cominciai: “Voi siete il padre mio; voi mi date un confidente ardire nel parlarvi; voi mi elevate così in alto, che io mi sento più di quello che sono in realtà. (Ascoltandovi) il mio animo si riempie di gioia per così tante vie, che si rallegra con se stesso perché può sostenerla senza esserne sopraffatto. Ditemi, dunque, amato capostipite della mia famiglia, chi furono i vostri antenati, e in quali anni si svolse la vostra fanciullezza (letteralmente: quali furono gli anni che si segnarono nei calendari durante la vostra fanciullezza: ditemi quanti erano allora gli abitanti di Firenze ( ovil di San Giovanni, in quanto San Giovanni Battista è il patrono della città), e quali in essa le famiglie degne di salire alle più alte dignità”. Come per lo spirare del vento si ravviva un carbone acceso, così vidi la luce di Cacciaguida risplendere più intensamente alle mie parole affettuose ; e come essa si fece più bella ai miei occhi, così con voce più dolce e soave ( di prima ), ma non nella lingua che usiamo ora, mi disse: “ Dal giorno in cui l’arcangelo disse “Ave” alla Vergine Maria fino al momento del parto con il quale mia madre, che ora è beata in cielo, si sgravò di me di cui era incinta, il rosso pianeta Marte venne 580 volte ad attingere nuovo calore sotto il piede del Leone, la costellazione che ha la sua stessa natura. I miei avi ed io nascemmo in quel puntodi Firenze dove per chi corre il vostro palio annuale incomincia l’ultimo sestiere. Dei miei antenati ti basti sapere questo: chi essi fossero e da dove siano venuti qui a Firenze, è più opportuno tacere che dire. Tutti coloro che in quel tempo erano atti alle armi a Firenze nella zona compresa tra la statua di Marte (sul Ponte Vecchio) e il Battistero, erano la quinta parte di quelli che ora sono nella città. Ma la popolazione, che ora è mescolata con famiglie del contado venute da Campi, da Certaldo e da Figline, appariva di puro sangue fiorentino fino al più umile artigiano. Oh quanto sarebbe meglio che quelle genti di cui ho parlato fossero solo vostre confinanti, e che voi aveste il confine della vostra città a Galluzzo e a Trespiano, anziché averle dentro le mura e sostenere il tanfo contadinesco di Baldo d’Aguglione, di Fazio da Signa, che certo ha l’occhio pronto a cogliere ogni occasione di baratteria! Se la gente di Chiesa, che oggi nel mondo è quella che più devia dal retto cammino, non fosse stata avversa all’imperatore (a Cesare) come una matrigna, ma si fosse comportata (nei suoi confronti) come una madre piena d’amore verso il figlio, taluni che sono diventati fiorentini ed esercitano l’arte del cambio e della mercatura, avrebbero invece continuato a vivere nel contado di Semifonte, là dove i loro antenati facevano la ronda di notte (attorno alle mura): il castello di Montemurlo sarebbe ancora dei conti Guidi; i Cerchi sarebbero ancora nella pieve di Acone, e forse i Buondelmonti ancora in Val di Greve. La mescolanza di stirpi diverse fu sempre causa di rovina per lo stato, come (è causa di malattia) per il vostro corpo il cibo che si sovrappone (nello stomaco ad un altro non ancora digerito); e un toro cieco cade più presto di un agnello cieco; e spesso una spada sola ferisce più e meglio che non cinque spade. Se tu consideri come sono andate in rovina Luni e Urbisaglia, e come si stanno spegnendo sulle loro orme Chiusi e Sinigaglia, non ti sembrerà cosa strana né difficile a capirsi che si spengono (anche) le famiglie, dal momento che la vita delle città è soggetta alla rovina. Le cose terrene, così come ( avviene per) voi uomini, sono tutte soggette alla morte, ma essa sembra non manifestarsi in alcune cose che durano a lungo ( come le città o le schiatte); d’altra parte la vita umana è cosi breve (che non permette di vedere la loro fine ) . E come il girare del cielo della Luna (generando i flussi e i riflussi della marea) copre e lascia scoperte alternativamente le spiagge del mare, così la Fortuna ora innalza, ora abbassa le sorti di Firenze: per questo motivo non deve stupire ciò che io dirò dei Fiorentini di antica nobiltà, la fama dei quali è coperta dall’oblio del tempo. Io vidi gli Ughi, e vidi i Catellini, i Filippi, i Greci, gli Ormanni e gli Alberichi, già in decadenza e in via di estinzione, sebbene ancora illustri cittadini; e vidi famiglie la cui potenza era pari all’antichità, con gli appartenenti alla famiglia dei della Sannella, dei dell’Arce, e i Soldanieri e gli Ardinghi e i Bostichi. Presso porta San Piero, che ora è piena di felloneria portata da gente appena arrivata, felloneria così grave che presto causerà la rovina della città che l’accoglie, abitavano i Ravignani, dai quali sono discesi il conte Guido e tutti coloro che hanno poi preso il nome dal nobile Bellincione. Gli appartenenti alla famiglia della Pressa avevano già esperienza di governo, e i Galigai erano già stati insigniti della dignità di cavalieri. Erano già grandi la famiglia dei Pigli, quella dei Sacchetti. dei Giuochi. dei Fifanti e dei Barucci e dei Galli e dei Chiaramontesi, coloro che arrossiscono di vergogna per la frode dello staio di sale. La schiatta da cui discese la famiglia dei Calfucci era già grande, e già erano stati chiamati alle più alte cariche pubbliche i Sizii e gli Arrigucci. Oh quanto potenti io vidi gli Uberti, che (ora) sono caduti in rovina per la loro superbia! e l’insegna dei Lamberti dava lustro a Firenze in tutte le sue grandi imprese. Allo stesso modo (dei Lamberti) onoravano Firenze gli antenati dei Visdomini e dei Tosinghi, i quali, quando la vostra sede vescovile è vacante, ne approfittano per arricchirsi allorché si riuniscono insieme per amministrarla. La prepotente schiatta (degli Adimari) che infierisce (s’indraca: si fa feroce come drago) su chi fugge, e diventa umile come un agnello davanti a chi le mostra i denti o le offre la borsa, già iniziava l’ascesa, ma modesta era la sua origine tanto che a Ubertino Donati non piacque che il suocero ( Bellincione Berti ) lo facesse poi diventare loro parente. I Caponsacchi erano già scesi da Fiesole ed abitavano nei pressi del Mercato Vecchio, ed eran già diventati cittadini ragguardevoli i Giudi e gli Infangati. Dirò una cosa incredibile eppure vera nella cerchia antica si entrava per una porta che prendeva nome dalla famiglia dei della Pera. Tutte le famiglie che portano (nel loro stemma ) la bella insegna di Ugo il Grande, la cui fama e le cui opere sono commemorate nel giorno festivo di San Tommaso, ricevettero da lui la dignità cavalleresca e il privilegio (di portare il suo stemma), sebbene oggi uno che adorna quell’insegna col fregio (di una fascia d’oro) si sia schierato dalla parte del popolo. Fiorivano già le famiglie dei Gualterotti e degli Importuni; e il quartiere di Borgo Santi Apostoli sarebbe ancor oggi più tranquillo, se esse non avessero avuto i nuovi vicini. La casa (degli Amidei) da cui nacque il pianto di Firenze, a causa del loro legittimo sdegno che (però) vi ha portati alla rovina, e ha posto fine alla vostra vita serena e pacifica, era tenuta in onore, essa e la sua consorteria (i Gherardini e gli Uccellini): o Buondelmonte, quanto facesti male a venir meno alla promessa di nozze con una donna di quella famiglia per istigazione altrui! Molti, che ora sono tristi (per i lutti causati dalla divisione della città), sarebbero invece lieti, se Dio ti avesse fatto annegare nel fiume Ema la prima volta che venisti a Firenze. Ma era necessario che Firenze, giunta alla fine del suo periodo di pace interna, immolasse una vittima alla statua mutila di Marte che è in capo al Ponte Vecchio. Con queste famiglie e con altre insieme a loro, vidi Firenze in una pace cosiì profonda, che non c’era nulla da cui ricevesse motivo di sofferenza: con queste famiglie io vidi il suo popolo così glorioso e concorde, che l’insegna del giglio non era mai stata capovolta in cima all’asta, né il giglio bianco era mai stato sostituito con quello rosso per le lotte di partito”.Carlohttp://www.blogger.com/profile/18141817929890313062noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8066215317830025612.post-14370750649020092662012-05-22T10:53:00.001-07:002012-05-22T10:53:05.043-07:00Parafrasi: XV Canto (Paradiso)La volontà di fare il bene nella quale si risolve sempre l’amore che deriva direttamente da Dio, come la cupidigia si risolve nella volontà di fare il male, fece cessare quel dolce coro e fece fermare il moto dei beati, i quali sono come le corde di una lira che la mano di Dio allenta o tende. Come potranno essere sorde alle preghiere dei giusti quelle anime beate che, per invogliarmi a interrogarle, furono concordi a cessare il loro canto? E’ giusto che soffra eternamente colui che, per amore delle cose terrene che sono caduche, si priva per sempre dell’amore di Dio. Come attraverso gli spazi sereni del cielo tranquillo e limpido di tanto in tanto sfreccia improvvisa una stella cadente attirando lo sguardo di chi se ne stava ozioso, e sembra una stella che muti posto in cielo, se non che dalla parte dove si è accesa non scompare nessun astro, e quella presto si spegne, così dal braccio della croce che si protendeva verso destra fino ai piedi di essa corse una delle luci della costellazione (di spiriti) che risplende nell’interno della croce: né quella gemma si distaccò dal nastro luminoso (della croce), ma corse via lungo la lista formata dai due raggi, sì che sembrò una fiamma che risplende dietro ad un alabastro (trasparente): Con la stessa manifestazione d’affetto corse incontro (ad Enea, per abbracciarlo) l’ombra di Anchise, quando nell’oltretomba riconobbe il figlio, se merita fede il racconto di Virgilio, il nostro maggior poeta. “ O sangue mio, o grazia di Dio (in te) infusa in maniera singolare, a chi mai fu dischiusa due volte la porta del cielo come a te ? ”. Cosi parlò quello spirito: perciò io mi rivolsi con attenzione verso di lui; poi guardai la mia donna, e restai stupito da una parte e dall’altra, perché nei suoi occhi risplendeva un un sorriso tale, che io credetti di toccare con i miei il limite estremo della grazia concessami da Dio e della mia beatitudine. Poi quello spirito, che ispirava gioia a udirlo e vederlo, aggiunse alle sue prime parole cose che io non compresi, tanto era profondo il loro significato; né si sottrasse alla mia comprensione di proposito, ma per necessità, perché il suo pensiero andò oltre il limite a cui arriva l’intelligenza di un mortale. E allorché la tensione dell’ardente carità fu sfogata, tanto che il suo linguaggio si rese comprensibile alla nostra mente, la prima cosa intesa da me fu: “ Sii benedetto, o Dio trino e uno, che sei tanto munifico verso la mia discendenza del mio seme)! ” E continuò: “ Un caro e antico desiderio, sorto in me dall’aver letto (la tua futura venuta) nel grande libro della mente di Dio dove non si aggiunge e non si toglie mai nulla a ciò che è scritto, hai saziato, o figlio, in me che ti parlo avvolto in questa luce, grazie a Beatrice, colei che ti diede le ali per il grande volo. Tu sei convinto che il tuo pensiero discenda in me direttamente da Dio, che è l’Ente primo, così come dall’unità, quando è conosciuta, derivano il cinque e il sei (e gli altri numeri ): e perciò non mi domandi chi sono e perché mi mostro a te più festoso di qualunque altro spirito di questa moltitudine beata. Quello che credi è vero, perché in questa vita tutti gli spiriti, siano essi dotati di un grado minore o maggiore di beatitudine, vedono in Dio come in uno specchio nel quale manifesti il tuo pensiero, prima ancora che tu lo abbia concepito: ma affinché l’amore divino nella contemplazione del quale io veglio godendone perpetuamente la visione e che fa nascere in me la sete del dolce desiderio (di appagarti), s’adempia meglio, la tua voce esprima senza timore, franca e lieta la tua volontà, esprima il tuo desideri, per il quale è già pronta la mia risposta!” Io mi rivolsi a Beatrice, ed ella comprese prima che parlassi, e sorridendo mi fece un cenno che accrebbe il mio desiderio. Poi incominciai così: “ Non appena aveste la visione di Dio, che è perfetta uguaglianza (perché tutti i suoi infiniti attributi sono mente uguali e commisurati fra di loro), in ciascuno di voi sentimento e intelligenza si corrisposero perfettamente , poiché Dio, il sole che vi illumina con la luce (della sua sapienza) e vi infiamma con il fuoco (del suo amore), è così uguale (nei suoi attributi), che ogni somiglianza risulta inadeguata ad esprimerLo. Invece nei mortali la volontà e lo strumento per esprimerla adeguatamente, per il motivo che voi conoscete ( la limitatezza e l’imperfezione umana), sono provveduti di ali di diversa potenza (cioè: la parola non sempre può realizzare ciò che la volontà desidera); per cui io, che sono ancora mortale, sento di essere in questa disuguaglianza (tra volontà e parola), e perciò non ringrazio che col cuore per l’accoglienza festosa e paterna. Io ti supplico però, o spirito splendente come vivo topazio che adorni questo prezioso gioiello della croce, di appagare il mio desiderio di conoscere il tuo nome ”. Allorché mi rispose, questo fu l’inizio del suo discorso: “ O figlio mio, nel quale mi compiacqui anche solo aspettandoti, io fui tuo capostipite”. Poi mi disse: “Alighiero, colui dal quale prende nome il tuo casato e che gira da più di cento anni nella prima cornice del monte del purgatorio, fu mio figlio e fu tuo bisavolo: è proprio opportuno che tu gli abbrevi la lunga pena con i tuoi suffragi. Firenze chiusa dentro la cerchia delle antiche mura, donde la città sente ancora il suono delle ore di terza e di nona, se ne stava in pace, sobria e onesta. Le donne non usavano braccialetti, nè corone preziose, né gonne ricamate, né cinture tanto ricche da essere più vistose della persona che le portava). La figlia, nascendo, non faceva ancora paura al padre, perché l’età e la dote non uscivano da una parte e dall’ altra dalla giusta misura. Non vi erano case vuote di prole; non era ancora giunto Sardanapalo a insegnare quali vizi e lussi si possono avere nel segreto della camera. Monte Mario non era ancora vinto dal vostro Uccellatoio, il quale Monte Mario, come fu superato in magnificenza, così sarà superato nella decadenza. lo vidi Bellincione Berti portare una cintura di cuoio con fibbie d’osso, e vidi sua moglie tornare dallo specchio senza il viso dipinto; e quelli della famiglia dei Vecchietti accontentarsi di indossare una semplice pelle non ricoperta di panno, e le loro donne intente agli umili lavori del fuso e della rocca. Oh donne fortunate! ciascuna sapeva con certezza il luogo dove sarebbe stata sepolta, e ancora nessuna era lasciata sola nel letto nuziale dal marito andato in Francia (per mercanteggiare ) . Una vegliava amorosamente il bimbo in culla e, per consolarlo (quando piangeva), si serviva di quel linguaggio infantile che per primi i genitori stessi si divertono ad usare; un’altra, filando, raccontava, stando seduta in mezzo alla sua servitù, le antiche storie dei Troiani, di Fiesole e di Roma. In quel tempo una donna dissoluta come Cianghella della Tosa, un barattiere come Lapo Saltarello sarebbero stati considerati una cosa straordinaria come, ora, un uomo probo come Cincinnato o una donna virtuosa come Cornelia. A una vita cittadina cosiì tranquilla e bella, tra una cittadinanza cosi affiatata, in una così dolce dimora, mi fece nascere la Vergine Maria, che era stata invocata con alte grida da mia madre durante il parto (cfr. Purgatorio XX, 19-21); e nel vostro antico Battistero divenni cristiano e insieme ricevetti il nome di Cacciaguida. Miei fratelli furono Moronto ed Eliseo: la mia sposa fu originaria della valle del Po; e da lei ebbe origine il tuo cognome. Poi seguii l’imperatore Corrado; ed egli mi fece suo cavaliere, tanto ero entrato nelle sue grazie per il mio valore. Lo seguii andando a combattere contro l’iniquità di quella religione il cui popolo, per colpa dei papi (che si disinteressano di questo problema ), usurpa i diritti della cristianità (sulla Terrasanta). Qui ad opera di quella gente turpe fui sciolto dai legami del mondo fallace, l’amore del quale abbrutisce molte anime; e dal martirio ( della morte per la fede) venni alla pace del paradiso ”.Carlohttp://www.blogger.com/profile/18141817929890313062noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8066215317830025612.post-52586858168126146382012-05-22T10:52:00.003-07:002012-05-22T10:52:41.825-07:00Parafrasi: XIV Canto (Paradiso)In un recipiente rotondo la superficie dell’acqua si increspa (in cerchi concentrici che vanno) dall’orlo verso il centro, e dal centro verso l’orlo, a seconda che l’acqua sia percossa da un colpo dato sulla parete esterna del recipiente o all’interno. Questo fenomeno dell’acqua di cui parlo, mi venne improvvisamente in mente, non appena tacque l’anima santa di Tommaso, per la somiglianza che nacque fra le sue parole ( che dalla parte esterna della corona dei beati si muovevano verso il centro dove si trovavano Dante e Beatrice ) e quelle di Beatrice ( che dal centro si volgevano verso la circonferenza della corona), alla quale piacque cominciare, dopo di lui, in questo modo: “ A costui (Dante) è necessario andare a fondo di un’altra verità, ma non osa dirvelo né con le parole né ancora col pensiero. Ditegli se la luce di cui si adorna la vostra anima rimarrà con voi eternamente cosi com’è ora: e se rimarrà inalterata, spiegategli come, dopo che ( avendo ripreso il corpo ) sarete ridiventati visibili, potrà accadere che (questa luce) non riesca molesta ai vostri occhi. ” Come talvolta coloro che danzano in circolo, sospinti e trascinati da una crescente allegria, alzano (cantando) la voce e si muovono con più vivacità, cosi, alla pronta e riverente preghiera (di Beatrice), le due corone di spiriti beati mostrarono la loro accresciuta letizia col girare intorno più velocemente e con la meravigliosa armonia del loro canto. Chi si lamenta che qui in terra l’uomo debba morire per passare alla vita del cielo, non ha certo visto lassù il ristoro che reca la pioggia della grazia La Trinità che sempre vive e sempre regna unita in ciascuna delle tre persone, non limitata da nulla, e che tutto abbraccia e contiene, tre volte era glorificata dal canto di ciascuno di quegli spiriti con così soave melodia, che (I’udirla) sarebbe giusta ricompensa anche al merito più grande. Ed io udii nella luce più fulgida della prima corona (attorno ad esso si era formato il secondo, più ampio) una voce soave, simile forse a quella con cui l’arcangelo Gabriele si rivolse a Maria (nell’Annunciazione), rispondere: “Finché durerà il gaudio della celeste beatitudine, il nostro amore irradierà intorno questa veste (luminosa che ci fascia). Lo splendore (di questa veste) è proporzionato all’ardore di carità ( di cui siamo infiammati); il nostro ardore è proporzionato alla visione (più o meno profonda, che abbiamo di Dio), e la visione è proporzionata alla grazia divina aggiunta al merito di ciascuno. Quando (nel giorno del Giudizio Universale ) rivestiremo il nostro corpo reso glorioso e santo (dall’anima beata), il nostro essere sarà più caro ( a Dio ) perché sarà diventato più completo; Ritorna ancora una volta il principio aristotelico-tomista da Dante già enunciato nel canto VI dell'Inferno ( versi 106-108): la perfezione dell'essere umano è nell'unione di anima e di corpo, la quale si ricostituirà per l'eternità nel giorno del Giudizio Universale. per questa perfezione si accrescerà il dono della Grazia illuminante che Dio, sommo Bene, ci offre, e che ci mette in condizione di poterLo vedere; per tale motivo deve crescere la visione di Dio, deve crescere l’ ardore di carità che essa accende, deve crescere la luce che da questo ardore deriva. Ma come il carbone che produce la fiamma, e la supera (in splendore) per la sua viva incandescenza, così che la sua forma non si lascia nascondere ( dalla luce della fiamma), così questo fulgore che fin d’ora ci circonda sarà vinto in efficacia visiva dal fulgore del nostro corpo che per ora è ricoperto dalla terra; tuttavia tanta luce non potrà abbagliarci, perché i nostri sensi avranno potenza sufficiente a percepire e sostenere tutto ciò che potrà essere motivo di beatitudine. Gli spiriti delle due corone mi apparvero tanto pronti e veloci a dire “ Cosi sia ! ”, che mostrarono chiaramente il desiderio di ricongiungersi ai loro corpi; forse non tanto per se stessi, ma per la madre, il padre e per tutti coloro che ebbero cari (in terra) : prima di diventare eterni fulgori (in cielo). Ed ecco apparire intorno (alle due corone) una luce, di splendore pari (a quella dei due cerchi di beati), superiore alla luminosità del sole, simile al chiarore che si diffonde all’orizzonte quando il sole sorge. E come sul far della sera cominciano ad apparire nel cielo le prime stelle, così (tenui) che l’aspetto di esse appare e non appare reale, così mi sembrò di vedere lì nuove anime, e mi sembrò che esse si disponessero in cerchio intorno alle : altre due corone. Oh verace splendore dello Spirito Santo! come esso divenne improvvisamente incandescente alla mia vista che, sopraffatta, non poté sopportarlo! Ma Beatrice mi apparve così bella e splendente, che (la sua immagine) si deve lasciare tra quelle visioni paradisiache che la memoria non è stata capace di fissare dentro di se. Da Beatrice i miei occhi ripresero forza per risollevarsi, e mi vidi trasferito solo con la mia donna in un più alto grado di beatitudine. Mi accorsi chiaramente che ero salito in un cielo superiore, per lo sfavillio incandescente della stella, che mi appariva più rosseggiante del solito. Con tutto il mio cuore e con il linguaggio dell’anima che è unico per tutti gli uomini, feci a Dio l’offerta di tutto me stesso, come era giusto fare in risposta alla nuova grazia ricevuta (quella di essere stato assunto in un cielo più alto). E non si era ancora esaurito nel mio petto l’ardore di quella offerta, che mi accorsi che quel mio sacrificio (litare: è termine latino, che significa “ celebrare un sacrificiò ” ) era stato gradito (a Dio) ed efficace, perché disposte su due liste luminose mi apparvero anime splendenti, così luminose e così affocate, che dissi: “ O Dio che rivesti queste anime di tanta luce! ” Come la Galassia si distende con la sua striscia luminosa costellata da stelle di minore o maggiore grandezza dall’uno all’altro polo del cielo, in modo che fa restare incerti anche i più sapienti, così disposte a modo di costellazione con stelle di diversa grandezza dentro il cielo di Marte quelle due liste luminose formavano il venerando segno (della croce), che è costituito dati intersecarsi delle linee che congiungono le quattro parti in cui è diviso il cerchio. A questo punto la mia memoria supera le possibilità del mio ingegno (incapace di esprimere a parole una simile visione), perché in quella croce sfolgorava la figura di Cristo, in modo che io non so trovare un’immagine adeguata per rappresentarla; ma chi (nel mondo) prende la sua croce e segue Cristo, quando un giorno Lo vedrà sfolgorare in questa luce biancheggiante, mi scuserà allora di quanto io tralascio. Da un braccio all’altro della lista orizzontale e tra una estremità e l’altra della linea verticale si muovevano gli spiriti luminosi, risplendendo più intensamente nell’atto di incontrarsi e di oltrepassarsi: allo stesso modo sulla terra si vedono i corpuscoli del pulviscolo atmosferico in direzione diritta o obliqua, con moto rapido o lento, mutando aspetto, in forma allungata o corta, muoversi nel raggio di luce da cui è tagliata talvolta l’oscurità (di una stanza), oscurità che l’uomo si procura per difendersi dalla luce del sole con espedienti escogitati dall’ingegno e realizzati praticamente. E come la giga (strumento musicale simile al violino) e l’arpa, con l’ armonico temperarsi di molte corde diverse, creano un suono dolce anche all’orecchio di chi non intende l’insieme della melodia, così da quelle luci che lì mi apparvero si diffondeva lungo la croce una melodia che mi estasiava con la sua dolcezza, senza che io riuscissi a capire le parole del canto. (Pur senza intendere il suo significato) mi accorsi facilmente che esso era un canto di solenne glorificazione, perché mi giungevano le parole “ Resurgi ” e “ Vinci ”, come a colui che ode qualche parola ma non intende tutto il senso di un discorso. Dalla dolcezza di questo canto io traevo un così profondo amore (verso queste cose), che fino a quel momento non vi fu niente che mi avesse avvinto con così soavi legami. Forse la mia parola può sembrare troppo ardita, poiché pospongo ( al piacere provato in questo momento) la gioia che ricevo dai begli occhi (di Beatrice ), contemplando i quali si appaga ogni mio desiderio: ma chi considera che gli occhi di Beatrice, viva rappresentazione di ogni bellezza, operano più efficacemente quanto più si sale attraverso i cieli, e che io nella sfera di Marte non mi ero ancora rivolto verso di essi, mi può scusare di quello di cui io mi accuso (cioè di aver osato troppo con le mie parole) per giustificarmi (di aver posposto al piacere del canto il piacer delli occhi belli), e può costatare che dico la verità, poiché la divina bellezza (di Beatrice) non è stata qui dimenticata dalle mie parole, dal momento che anch’ essa, man mano che si ascende, diventa sempre più perfetta.Carlohttp://www.blogger.com/profile/18141817929890313062noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8066215317830025612.post-71165250002106778152012-05-22T10:51:00.004-07:002012-05-22T10:51:48.800-07:00Parafrasi: XIII Canto (Paradiso)Il lettore che desidera capire bene quello che a questo punto vidi, immagini (e, mentre io parlo, conservi l’immagine salda come una roccia) le quindici stelle che nelle diverse regioni del cielo lo illuminano di tanto splendore, da vincere ogni nebulosità dell’atmosfera; immagini quel carro ( l’Orsa Maggiore) al quale è sufficiente lo spazio del nostro emisfero celeste per il suo moto diurno e notturno, cosicché nella sua rotazione non scompare mai (alla nostra vista); immagini le due stelle poste alla estremità di quel corno (l’Orsa Minore) che comincia nel punto più alto dell’asse celeste, intorno al quale gira ( va dintorno ) il primo cielo mobile, (immagini dunque) che queste ventiquattro stelle abbiano formato in cielo due costellazioni, simili a quella in cui fu mutata la figlia di Minosse, quando mori; e (immagini) che le due costellazioni siano concentriche, e che entrambe ruotino in modo che l’una si muova in un senso e l’altra nel senso opposto; e (il lettore) avrà un’immagine imperfetta della costellazione (di spiriti) che io vidi veramente e della doppia danza che girava intorno al punto in cui mi trovavo, poiché ( lo spettacolo ) era tanto al di sopra della nostra comune esperienza, di quanto il Primo Mobile, che è il cielo più veloce di tutti gli altri, supera in velocità il lento corso del nume Chiana. Li non si celebrarono le lodi di Bacco, né di Apollo, ma si cantarono le lodi delle tre persone in una sola natura divina, e di questa e di quella umana nell’unica persona di Cristo. Il canto e la danza giunsero simultaneamente al loro termine; e quei santi spiriti volsero a noi la loro attenzione, rallegrandosi nel passare da una cura (la danza e il canto) ad un’altra (il chiarimento del dubbio di Dante). Ruppe poi il silenzio tra i beati concordi (nel loro canto e nella loro danza) quella luce (San Tommaso) che mi aveva narrata la vita mirabile del poverello di Dio (San Francerco), e disse: “ Poiché il tuo primo dubbio è stato discusso, e poiché il seme (di verità che ne è scaturito) è già stato riposto (nella tua mente), lo spirito di carità mi invita a sciogliere l’altro dubbio. Tu credi che nel petto di Adamo, dal quale fu tratta la costola per formare il bel volto di Eva, il cui peccato di gola (nel provare il frutto proibito) fu causa di tanto male a tutto il mondo, e che nel petto di Cristo, il quale, trafitto dalla lancia, - offrì (a Dio) soddisfazione e per i peccati futuri e per quelli passati, tanto che sulla bilancia della giustizia divina esso vince (con i suoi meriti ) il peso di ogni colpa, sia stata infusa dall’onnipotenza divina che aveva creato l’uno e l’altro, tutta quanta la sapienza che è lecito alla natura umana possedere; e perciò ti meravigli riguardo a quello che ti ho detto più sopra, quando affermai che l’anima beata di Salomone racchiusa nella quinta luce ( della prima corona) non ebbe chi l’uguagliasse (in sapienza). Ora rifletti bene a quello che ti rispondo, e vedrai che la tua convinzione (riguardo alla sapienza di Adamo e di Cristo) e la mia affermazione coincidono nella verità come il centro è nel mezzo del cerchio. Le creature incorruttibili e quelle corruttibili non sono che una luce riflessa di quell’idea (il Verbo) che Dio, nostro re, genera con un atto d’amore: perché la viva luce del Verbo che emana da Dio in modo tale, che non si separa né da Lui né dallo Spirito Santo, per sua bontà dirige e concentra i suoi raggi, come riflettendosi in tanti specchi, nelle nove essenze dei cori angelici, pur conservando in eterno la sua unità. Dai nove cori angelici questa luce scende giù di cielo in cielo fino agli elementi del mondo terrestre, e si attenua a tal punto, che non produce più che creature contingenti e corruttibili; e per queste realtà contingenti intendo le cose generate, che i cieli producono con il loro moto sia per mezzo di semi sia senza di essi. La materia di queste creature inferiori e i cieli che la plasmano con i loro influssi non sono sempre nel medesimo rapporto; e perciò questa materia poi resta più o meno illuminata dalla luce dell’idea divina. Non sta d'un modo: infatti può variare la disposizione in cui si trova la materia rispetto all'azione dei cieli e può cambiare l'influsso dei cieli sulla terra con il variare delle loro posizioni e delle loro congiunzioni. Perciò avviene che due alberi della medesima specie producano frutti migliori o peggiori e che gli uomini (pur appartenendo alla stessa specie) nascano con indoli e attitudini differenti Se la materia ( nel momento in cui subisce l’azione dei cieli) fosse nelle condizioni migliori per essere plasmata e se il cielo si trovasse al massimo della sua potenza formatrice, la luce dell’impronta divina apparirebbe (nelle creature) in tutto il SUO splendore; ma la natura ( cioè la causa seconda, che genera gli esseri inferiori) presenta sempre questa luce in modo imperfetto, perché essa opera come l’artista, che conosce la sua arte ma è incapace di realizzare perfettamente ciò che ha in mente. Tuttavia se lo Spirito Santo dispone e imprime (sulla creatura) la luce del Verbo che procede dal Padre, allora in questa creatura si ottiene tutta la perfezione possibile. Così la terra (allorché Dio se ne servi per formare il corpo di Adamo) fu un tempo resa degna di accogliere tutta la perfezione possibile in un essere animato; così (per opera dello Spirito Santo) fu generato Cristo nel grembo della Vergine: perciò io approvo la tua opinione, che la natura umana non fu né sarà mai cosi perfetta come fu in quelle due persone ( Adamo e Cristo ) . Ora se io non aggiungessi altro, tu mi faresti subito questa domanda: “Dunque, come mai costui (Salomone) non ebbe chi l’uguagliò (in sapienza) ?’’ Ma affinché appaia chiaro ciò che ancora non lo è, pensa quale era la condizione di Salomone, e quale motivo lo spinse a domandare ( la sapienza ), quando gli fu detto (da Dio) “Chiedi ( ciò che vuoi ) “. Non ho parlato in modo cosi oscuro, che tu non possa capire che egli fu il re che chiese (a Dio) la saggezza per poter essere un sovrano capace di adempiere il suo ufficio, non per sapere quante sono le intelligenze motrici dei cieli, o per conoscere se una premessa necessaria e una contingente portano ad una conclusione necessaria; né per sapere se è possibile (est) ammettere che esista (nell’universo) un moto primo dal quale dipendono tutti gli altri, o per conoscere se in un semicerchio si possa iscrivere un triangolo che non sia rettangolo. Perciò, se esamini quello che ho detto prima (cfr. canto X, verso 114) e ciò che ho aggiunto ora, ( puoi capire che) quella sapienza che non ebbe uguali, alla quale intendevo alludere, è la sapienza che si addice a un re: e se mediti con mente non offuscata da preconcetti sul valore della parola “sorse”, vedrai che essa si riferiva solo ai re, che sono molti, pur essendo rari quelli che sanno ben esercitare il loro ufficio. Interpreta le mie parole con questa distinzione (fra uomini e re: Salomone fu il più sapiente come re non come uomo); e così esse potranno accordarsi con quello che tu credi intorno alla sapienza di Adamo e di Cristo. E questo (il dubbio che è sorto in te per aver tratto frettolose conclusioni dalle mie parole) ti insegni a procedere sempre con i piedi di piombo, per andare cauto e lento come uomo affaticato e nel negare ciò che non puoi distinguere chiaramente: perché bene in basso nella scala della stoltezza è colui che afferma e nega senza fare le necessarie distinzioni sia nel caso che si debba dire di si sia nel caso che si debba dire di no, poiché accade che spesso un giudizio affrettato inclini all’errore, e che poi l’attaccamento (alla nostra opinione) non lasci più libero l’intelletto (di ricredersi). Colui che cerca nel mare della verità e non conosce l’arte di farlo, si allontana dalla riva più che inutilmente, perché non ritorna nella condizione in cui era partito ( cioè: era partito in uno stato di ignoranza, ritorna carico di errori, perché crede cose false). E offrono al mondo chiara testimanianza di questo fatto Parmenide, Melisso, e Bryson e molti altri, i quali procedevano nella loro ricerca senza rendersi conto delle conseguenze: così fecero Sabellio e Ario e tutti quegli eretici che falsano il significato delle Scritture come colpi di spada sfigurano un bel volto. Gli uomini non si mostrino, inoltre troppo sicuri nel dare giudizi. come colui che calcola il valore della messe quando è ancora sul campo, prima che sia giunta a maturazione: perché io ho visto durante tutto l’inverno il pruno apparire secco e spinoso, e poi (in primavera) l’ho visto far sbocciare la rosa sulla sua cima; e vidi già una nave percorrere sicura e veloce il mare per tutto il viaggio che doveva compiere, e naufragare infine proprio all’ingresso del porto. Non credano donna Berta e ser Martino (due nomi usati genericamente), per il fatto di vedere uno rubare, un altro fare elemosine, di poterli considerare come già giudicati da Dio, perché quello può riscattarsi dal peccato, e l’altro può perdersi ”.Carlohttp://www.blogger.com/profile/18141817929890313062noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8066215317830025612.post-60399555420105572822012-05-22T10:51:00.002-07:002012-05-22T10:51:24.740-07:00Parafrasi: XII Canto (Paradiso)Non appena la luce benedetta di San Tommaso ebbe pronunciata l’ultima parola, la santa corona incominciò a volgersi in cerchio; e non finì di compiere un intero giro che un’altra corona di beati la circondò, e accordò il suo moto e il suo canto al moto e al canto di quella; in quei dolci strumenti questo canto supera quello dei nostri poeti e delle nostre donne tanto quanto il raggio diretto supera quello riflesso. Come attraverso una nube leggiera e trasparente si volgono due archi ( quelli dell’arcobaleno quando è doppio) paralleli e fatti degli stessi colori, quando Giunone comanda alla sua ancella (di scendere sulla terra a portare i suoi messaggi), e l’arco esterno si forma ( per riflessione) da quello interno, allo stesso modo in cui (dalla voce) si genera l’eco, che prende nome da colei che l’amore consumò come il sole dissolve la nebbia, e tali archi nel mondo rendono gli uomini sicuri che la terra non sarà mai più allagata, per il patto stipulato da Dio con Noè, così si volgevano intorno a noi le due corone di beati, e così quella esterna si accordò a quella interna. Dopo che la danza e l’altra grande festa che le anime facevano con il cantare e con il rispondersi di ciascuna luce all’altra, piene di gioia e di carità si arrestarono nello stesso istante e con la stessa concorde volontà, proprio come le palpebre degli occhi devono necessariamente abbassarsi o sollevarsi insieme, secondo il desiderio che determina i loro movimenti, dal profondo di una di quelle luci giunte poco prima si levò una voce, che, facendomi volgere verso il luogo da cui proveniva, mi fece assomigliare all’ago (della bussola che si orienta) in direzione della stella polare; e incominciò: “ Lo spirito di carità che rende più luminosa la mia bellezza mi spinge a parlare dell’altra guida (San Domenico), per onorare la quale qui si è parlato così bene della mia (San Francesco). E’ giusto che, dove si parla dell’ uno, si ricordi anche l’altro, in modo che, come combatterono per una stessa causa, così risplenda insieme anche la loro gloria. La cristianità, che Cristo, a prezzo del suo sacrificio, fornì dei mezzi adatti per combattere il peccato, seguiva la croce con poco zelo, piena di dubbi e diminuita di numero, quando Dio, che regna per l’eternità, venne in suo soccorso, mentre essa si trovava in pericolo, non perché ne fosse degna, ma soltanto per un atto della sua misericordia; e come è stato detto (da San Tommaso; cfr. canto XI, versi 31-36), portò aiuto alla Chiesa, sua sposa, con due difensori ( San Francesco e San Domenico), per la cui opera e la cui predicazione il popolo sviato poté ravvedersi. In quella parte (la Spagna) dove il dolce Zefiro sorge ad aprire le nuove fronde delle quali si vede rivestita l’Europa (in primavera), non molto lontano dalla spiaggia battuta dalle onde (dell’Atlantico), dietro le quali il sole, come stanco del suo lungo percorso, talvolta ( nel solstizio d’estate) tramonta nascondendosi ad ogni uomo, sorge la fortunata (perché patria di San Domenico) Calaruega sotto il governo del re di Castiglia, nel cui stemma (in una parte) il leone sta sotto e (nell’altra) si trova sopra. Li nacque il fedele amante della fede cristiana, il santo campione benevolo verso i cristiani e implacabile verso i nemici della fede. E non appena la sua anima fu creata, venne a tal punto colmata di efficaci virtù, che, stando ancora nel grembo materno, diede alla madre spirito profetico. Dopo che furono celebrate le nozze fra lui e la fede davanti al sacro fonte battesimale, dove entrambi si portarono in dote, reciprocamente, la salvezza, la madrina che diede in suo nome il consenso (ad entrare nella fede cristiana), vide in sogno il mirabile frutto che doveva derivare da lui e dai suoi seguaci. E affinché anche nel nome egli fosse quale era di fatto, dal cielo discese una divina ispirazione (ai genitori) perché fosse chiamato con il possessivo di colui al quale egli tutto apparteneva. Fu chiamato Domenico; ed io lo presento come l’agricoltore che Cristo scelse per far fruttificare il suo orto, la Chiesa. A buon diritto apparve nunzio e servitore di Cristo, poiché il primo amore che si manifestò in lui, fu per la povertà, il primo precetto che diede Cristo. Spesso fu sorpreso dalla sua nutrice mentre, tacito e desto, stava coricato sulla terra, come se volesse dire: “ Io sono venuto per questo (per vivere in umiltà e povertà)”. O padre suo veramente Felice! o madre sua veramente Giovanna, se questo nome, inteso nel suo significato etimologico, ha il valore che si dice! Non per conseguire beni e onori terreni, per i quali ora ci si affanna negli studi di diritto canonico o di medicina (a Taddeo), ma per amore della vera sapienza divenne in breve tempo un dottissimo teologo, così che (con il suo sapere) cominciò a girare intorno, per difenderla e coltivarla, alla vigna ( la Chiesa ) che subito inaridisce, se il vignaiuolo (il pontefice) non adempie al suo ufficio. E al soglio papale, il quale un tempo fu molto più generoso (di quanto lo sia ora) verso i poveri onesti, non per colpa dell’istituzione pontificia come tale, ma per colpa del papa, che devia dal giusto cammino, non di distribuire ( ai poveri ) la metà o il terzo (del denaro ad essi destinato, trattenendo per se il rimanente), né di ottenere le rendite del primo beneficio che rimanesse vacante, né di godere le decime, che sono destinate ai bisogni dei poveri di Dio. chiese, bensì chiese il permesso di combattere contro gli errori del mondo cristiano in difesa di quella fede che è il seme dal quale sono germogliate le ventiquattro piante che ti circondano Poi sostenuto dalla dottrina e dalla forza di volontà e dall’autorità conferitagli dal mandato del pontefice si mosse con la forza di un torrente che sgorga da una sorgente profonda; e il suo impeto si abbatté sulle male piante dell’eresia, più vigorosamente là (in Provenza) dove le resistenze erano più forti. Da lui ( paragonato prima a un torrente) si formarono poi numerosi ruscelli le cui acque irrigarono fecondandolo l’orto della Chiesa, così che i fedeli sono (ora) più vigorosi nella fede. Se tale fu una delle due ruote sulle quali si resse il carro della Santa Chiesa che vinse combattendo apertamente la sua guerra civile (perché la lotta fra eretici e fedeli avviene in seno alla Chiesa stessa), ben ti dovrebbe essere sufficientemente chiara l’eccellenza dell’altra ruota (San Francesco), riguardo alla quale Tommaso fu cosi cortese (facendone l’elogio) prima che io venissi ( con la seconda corona di beati) . Ma il solco segnato dalla parte esterna della circonferenza di questa ruota, è abbandonato, così che dove c’era virtù e unione c’è (ora) corruzione e disunione. Il suo ordine, che aveva seguito le orme del proprio fondatore, si è tanto volto in direzione opposta, che cammina a ritroso. E ben presto dal raccolto si vedrà la cattiva coltivazione, quando il loglio con suo dolore si vedrà escluso dall’arca. Io dico che chi esaminasse ad uno ad uno i frati del nostro ordine, ne troverebbe ancora qualcuno fedele alle virtù francescane, nel quale potrebbe leggere “Io sono quel che un buon francescano soleva essere”; ma quello non verrà né da Casale né da Acquasparta, da dove provengono tali interpreti della regola francescana, che uno la fugge, e l’altro cerca di renderla più rigida. lo sono l’anima di Bonaventura da Bagnorea, che nei grandi incarichi ( da me ricoperti) posposi sempre la cura delle cose mondane (a quella delle cose spirituali). Si trovano in questa corona Illuminato (da Rieti) e Agostino (d’Assisi ), che furono fra i primi seguaci di San Francesco, i quali, cingendosi del capestro ( accettando, cioè, la regola francescana), si resero cari a Dio. Sono qui con loro Ugo da San Vittore, e Pietro Mangiadore e Pietro Ispano, la cui fama splende in terra grazie ai suoi dodici libri; (si trovano qui) il profeta Natan e il metropolita Crisostomo e Anselmo e quel Donato che si occupo della scienza grammaticale. È qui Rabano, e mi risplende di fianco l’abate calabrese Gioacchino, dotato di spirito profetico. Ad emulare (celebrando le lodi di San Domenico) un così valido paladino (San Tommaso, paladino di San Francesco) mi indusse l’ardente cortesia di frate Tommaso e le sue assennate parole; e mosse insieme con me gli altri spiriti: (a manifestare il loro consenso con la danza e il canto).Carlohttp://www.blogger.com/profile/18141817929890313062noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8066215317830025612.post-90140465508092213432012-05-22T10:50:00.005-07:002012-05-22T10:50:57.042-07:00Parafrasi: XI Canto (Paradiso)O stolta preoccupazione dei mortali, quanto sono erronei quei ragionamenti che vi fanno volgere alle cose terrene! Chi se ne andava dietro alla giurisprudenza, e chi dietro alla medicina, e chi inseguiva i benefici ecclesiastici, e chi cercava di dominare con la violenza o con la frode e chi era occupato a rubare, e chi in attività pubbliche; chi si affaticava immerso nei piaceri della carne, e chi invece si abbandonava all’ozio, mentre io, libero da tutte queste vane sollecitudini, lassù in cielo in compagnia di Beatrice ero accolto con tanta festa. Dopo che ognuno (dei dodici spiriti) fu tornato (danzando) nel punto del cerchio in cui si trovava prima, si fermò immobile, come (è immobile) una candela sul candeliere. E dentro quella luce (San Tommaso) che prima mi aveva parlato, mentre sorrideva facendosi più splendente, io udii incominciare: “ Come io risplendo del raggio divino, così, lo sguardo nella luce eterna di Dio, conosco da dove abbiano origine le tue incertezze. Tu dubiti, e desideri che il mio discorso si chiarisca con una esposizione così evidente e ampia, che si distenda davanti alla tua capacità di intendere, riguardo al punto in cui prima dissi “U’ ben s’impingua”, e all’altro in cui dissi “Non surse il secondo”; e a proposito di questi dubbi è necessario procedere con opportune distinzioni. La provvidenza, che governa il mondo con sapienza così profonda che davanti ad essa ogni intelligenza creata è vinta prima di riuscire a penetrarla fino in fondo. affinché la Chiesa, la sposa di Cristo, che con alte grida si unì a lei nel suo sangue benedetto (versato sulla croce), procedesse verso il suo diletto, più sicura in se stessa e anche più fedele a Lui, decretò in suo aiuto (ordinò in suo favore) due capi, che le fossero di guida da una parte con la carità e dall’altra con la sapienza. Uno fu tutto ardente di carità come un Serafino; l’altro per la sua sapienza fu in terra una luce degna della scienza propria dei Cherubini. Parlerò di uno di costoro, perché lodando uno si celebrano entrambi, qualunque dei due si scelga, perché le loro opere mirarono allo stesso fine. Tra il fiume Topino e il fiume Chiascio, l’acqua che scende dal monte scelto dal beato Ubaldo come eremitaggio, digrada la fertile costa dell’alto massiccio del Subasio, dal quale Perugia riceve verso Porta Sole i venti freddi d’inverno e caldi d’estate; e sul versante opposto del Subasio piange sotto il pesante giogo Nocera con Gualdo Tadino. Sulla costa occidentale ( del Subasio ), là dove essa diventa meno ripida, nacque al mondo un sole, come talvolta questo sole ( in cui ora ci troviamo) nasce dal Gange. La luce spirituale di San Francesco ha lo stesso fulgore di quella del sole quando, nell'equinozio di primavera, esso sorge, rispetto al meridiano di Gerusalemme, nel suo punto più orientale (di Gange). Perciò chi parla di quel luogo, non dica Assisi, perché direbbe troppo poco, ma dica Oriente, se vuol parlare con proprietà (proprio). Questo sole non era ancora molto lontano dal momento della sua comparsa, quando cominciò a far si che la terra sentisse qualche beneficio della sua potenza vivificatrice, perché, ancora giovane, affrontò una lotta col padre per amore di una donna tale, la Povertà, alla quale, come alla morte, nessuno fa grata accoglienza; e davanti alla curia vescovile della sua città e alla presenza del padre si unì a lei come sposo; in seguito l’amò di giorno in giorno sempre più intensamente. Questa donna (la Povertà), rimasta vedova del suo primo sposo, Cristo, era stata per oltre mille e cento anni disprezzata e dimenticata, senza che alcuno la ricercasse, fino alla nascita di costui; né valse (a farla amare) l’udire che Cesare, colui che sgomentò tutto il mondo, la trovò tranquilla e serena, al suono della sua voce, accanto ad Amiclate; né le valse l’essersi dimostrata fedele ed eroica al punto da patire con Cristo sulla croce, laddove (anche) Maria rimase ai piedi di essa. Ma perché io non continui a parlare in modo troppo oscuro, nel mio lungo discorso intendi ormai per questi due amanti Francesco e la Povertà. La loro concordia e la letizia dei loro aspetti facevano si che l’amore e l’ ammirazione e la dolce contemplazione che ne derivavano fossero motivo di santi pensieri (in chi li vedeva); tanto che il beato Bernardo si scalzò per primo, e corse dietro a questa grande pace spirituale e, pur correndo, gli sembrò di andare troppo lento. O ricchezza ignorata! o bene fecondo di tanti frutti! La sposa piace tanto, che seguendo lo sposo si scalza Egidio, si scalza Silvestro. Poi quel padre e quel maestro se ne va (a Roma) con la sua sposa e con quel gruppo di discepoli che già cingevano (intorno ai fianchi) l’umile cordone. Né viltà d’animo gli fece abbassare gli occhi per il fatto di essere figlio del mercante Pietro Bernardone, o per il fatto di avere un aspetto tanto spregevole da suscitare stupore, ma con regale dignità manifestò al papa Innocenzo III il suo proposito di una vita austera, e da lui ebbe il primo riconoscimento del nuovo ordine. Dopo che i seguaci della povertà si moltiplicarono dietro le orme di costui, la cui vita mirabile si canterebbe meglio (che altrove) nella gloria del cielo, la santa volontà di questo pastore fu coronata con una seconda approvazione dallo Spirito Santo per mezzo di papa Onorio III. E dopo che, spinto dalla sete del martirio, ebbe predicato la dottrina di Cristo e degli apostoli alla presenza del sultano nel fasto della sua corte, . e avendo trovato il popolo musulmano troppo restio ad ogni tentativo di conversione, per non restare (in terra infedele) senza frutto, se ne tornò a far fruttificare il seme sparso in Italia, sulla cima rocciosa (della Verna) tra le valli del Tevere e dell’Arno ricevette da Cristo l’ultima approvazione con le sacre stimmate, che le sue membra portarono impresse per due anni. Quando a Dio che lo aveva destinato ad operare tanto bene, piacque di portarlo in cielo al premio che egli aveva meritato facendosi umile, ai suoi frati, come a legittimi eredi, raccomando la donna sua più cara (la Povertà), e comandò loro che l’amassero con vera fede; e dal grembo della Povertà la sua nobile anima volle partire, per tornare al cielo che era il suo regno, e per il suo corpo non volle altra bara. Pensa ora (se tale fu San Francesco) quale dovette essere colui che fu suo degno compagno nel mantenere la barca di Pietro (la Chiesa) sulla giusta rotta nel mare tempestoso; e questo fu (San Domenico) il fondatore del nostro ordine; per la qual cosa puoi comprendere come chi segue lui secondo le prescrizioni della sua regola, accumula validi meriti per la vita eterna. Ma il suo gregge è diventato ghiotto di altri cibi, cosicché non è possibile che non si disperda in pascoli fuori della giusta strada; e guanto più i suoi frati fanno come le pecore che se ne vanno erranti e lontane dal pastore, tanto più tornano all’ovile privi del latte (della dottrina e della virtù ) . Vi son bensì alcuni frati che temono il danno (dell’ inosservanza della regola) e si stringono intorno al pastore, ma sono tanto pochi, che basta poco panno per fornire loro le cappe. Ora se le mie parole non sono oscure e se tu mi hai ascoltato attentamente, se richiami alla memoria quello che è stato detto, sarà in parte appagato il tuo desiderio di chiarimenti, perché vedrai per quale causa la pianta dell’ordine domenicano si corrompe, e vedrai che cosa significa la correzione che ho fatto all’affermazione “U’ ben s’impingua, se non si vaneggia”.Carlohttp://www.blogger.com/profile/18141817929890313062noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8066215317830025612.post-66450029369507174232012-05-22T10:50:00.003-07:002012-05-22T10:50:35.277-07:00Parafrasi: X Canto (Paradiso)Dio Padre, potenza prima ed inesprimibile, contemplando il Figlio (la Sapienza) con lo Spirito Santo ( l’Amore ) che Padre e Figlio spirano eternamente, creò con ordine così perfetto tutto ciò che prende vita nella mente (le cose spirituali) e nello spazio ( le cose materiali ), che chi contempla l’opera del creato non può fare a meno di godere di questa potenza ordinatrice. Alza dunque con me, o lettore lo sguardo ai cieli ruotanti, precisamente quel punto dove il moto diurno di tutti i corpi celesti si incontra col moto annuo dei pianeti; e da quel punto comincia a contemplare con amore l’opera di quell’Artefice che nella sua mente l’ama a tal punto da non distaccare mai l’occhio (della sua provvidenza) da essa. Vedi come da quel punto si distacca il cerchio obliquo (dello zodiaco) nel quale si muovono i pianeti, per soddisfare le esigenze della terra che ha bisogno di essi e delle loro influenze. E se la strada percorsa dai pianeti (lo zodiaco) non fosse obliqua, molta della virtù attiva dei cieli resterebbe inutile, e quaggiù sulla terra sarebbe spenta quasi ogni potenzialità di vita; e se l’inclinazione dello zodiaco rispetto all’equatore fosse maggiore o minore, ne deriverebbe una grave imperfezione all’ordine terrestre nell’emisfero australe e in quello boreale. Ora, o lettore, resta pure seduto sul tuo banco, a meditare su quello di cui ti ho offerto soltanto un assaggio, se vuoi provare la gioia (della scienza) che non lascia avvertire la stanchezza. Ti ho messo in tavola il cibo: ormai puoi servirti da solo, perché l’argomento di cui ho incominciato a scrivere concentra su di se tutta la mia attenzione. Il sole, il più importante ministro esistente nel creato, il quale più degli altri astri imprime nel mondo le virtù degli influssi celesti e con la sua lúue ci dà la misura del ‘tempo, trovandosi in congiunzione con quel punto che ho prima ricordato, girava per le spirali ascendenti dello zodiaco nelle quali sorge ogni giorno più presto ; ed io mi trovavo nel cielo del Sole ; ma non mi ero accorto del mio salire, allo stesso modo in cui l’uomo non s’accorge del sopraggiungere di un pensiero prima del suo manifestarsi alla coscienza. E’ Beatrice colei che in tal modo guida da un cielo inferiore ad un altro superiore con tanta rapidità, che la durata dell’atto non si estende in uno spazio di tempo percettibile. Quanto dovevano essere luminose per se stesse che erano nel cielo del Sole dove io entrai, visibili non per il colore diverso, ma per la luce più intensa (che irradiavano)! Per quanto io chiamassi in aiuto tutto il mio ingegno e l’arte e l’esperienza non riuscirei mai a trovare un’espressione tanto efficace, da far immaginare (quello che vidi); ma si può credere (alle mie parole) e intanto si può desiderare di vederlo (in cielo). E non c’è da stupirsi se la nostra facoltà immaginativa è insufficiente a rappresentare una così intensa luminosità, perché non vi fu mai alcun occhio mortale che potesse vedere una luce superiore a quella del sole. Così era qui la quarta schiera delle anime elette dall’eccelso Padre, che continuamente le appaga, rivelando come genera il Figlio e come lo Spirito Santo spira (da Lui e dal Figlio). E Beatrice cominciò a dire: “ Ringrazia, ringrazia Dio, il sole degli angeli, perché per sua grazia ti ha elevato a questo sole percepibile coi sensi”. Non ci fu mai cuore di uomo mortale così disposto alla devozione e tanto pronto a volgersi a Dio con tutta la sua gratitudine, quale divenne il mio a quelle parole; e tutto il mio amore si concentrò in Lui a tal punto, che cancellò dalla mia memoria Beatrice. A lei non dispiacque; anzi ne fu così lieta, che il fulgore dei suoi occhi sorridenti distrasse la mia mente concentrata in Dio dividendola tra due oggetti (in più cose: fra Dio e Beatrice). Io vidi numerosi splendori, tanto vivi da vincere (la luce del sole ) disporsi in corona attorno a noi, ed erano più dolci nel loro canto di quanto non fossero luminosi nel loro aspetto: così vediamo talvolta la luna ( identificata nella mitologia classica con la dea Diana, figlia di Latona e di Giove) cingersi di un alone, quando l’aria è così satura di vapori, che trattiene in se il raggio lunare che forma la cintura luminosa. Nella corte celeste, dalla quale io sono tornato, ci sono molte gemme così preziose e belle che non è possibile portarle fuori di quel regno (e descriverle); e il canto di quegli spiriti splendenti era una di quelle gemme: chi non mette le ali in modo da poter volare fin lassù, è come se attendesse notizie di quei luoghi da un muto. Dopo che, cantando in modo cosi dolce, quelle luci ardenti ebbero fatto tre giri intorno a noi, muovendosi lentamente come stelle che ruotano vicine ai poli fissi (del cielo), esse mi apparvero come donne che, senza interrompere le movenze della danza, si arrestino in silenzio, rimanendo in ascolto finché non abbiano percepito le nuove note musicali (che annunciano un nuovo giro di danza); e dentro ad una di queste luci udii dire: “ Poiché il raggio della grazia divina, da cui è acceso in noi l’amore del vero bene (Dio) e che poi in virtù di questo amore cresce sempre più, risplende in te così moltiplicato, che ti conduce su per la scala dei cieli, per la quale nessuno può discendere senza che poi possa risalire, chi ti rifiutasse il vino della sua ampolla per soddisfare la tua sete (di sapere ), non godrebbe della libertà (che distingue i beati), proprio come un corso d’ acqua che non va a gettarsi in mare ( perché impedito da qualche ostacolo). Tu vuoi sapere di quali anime si adorna questa corona che, standole intorno, contempla con amore Beatrice, la bella donna che ti dà la virtù necessaria per salire al cielo. Io fui uno degli agnelli del santo gregge che Domenico guida per un cammino dove ci si può arricchire spiritualmente se non si inseguono cose vane. Questo che a destra mi è più vicino, mi fu fratello e maestro, ed è Alberto di Colonia, ed io sono Tommaso d’Aquino. Se vuoi parimenti essere informato su tutti gli altri spiriti, segui il mio discorso con lo sguardo girando gli occhi sulla ghirlanda di questi beati. Quell’altra fiamma è l’espressione della felicità di Graziano, il quale giovò al tribunale civile e a quello ecclesiastico, tanto che la sua opera è gradita a Dio. L’altro che vicino a Graziano adorna il nostro coro, fu quel Pietro che offrì il tesoro della sua sapienza alla Santa Chiesa come la poverella ( del Vangelo) . Il quinto spirito, che è il più splendente tra noi, nelle sue opere spira tale amore, che tutto il mondo laggiù sulla terra brama sapere (se sia salvo o dannato): in questa luce intelligenza di Salomone, nella quale venne infusa una sapienza così profonda, che, se la Sacra Scrittura è verace, non nacque mai un uomo dotato di così grande scienza. Vicino a lui vedi la luce di quel luminare che sulla terra, durante la vita mortale, trattò più a fondo di tutti la natura e l’ufficio degli angeli. Nell’altra luce più piccola sorride quel difensore del Cristianesimo dei cui discorsi si giovò Sant’Agostino. Ora se muovi l’attenzione della mente da una luce all’altra seguendo l’ordine dei miei elogi, già ti fermi con il desiderio di sapere chi sia l’ottava. Dentro è beata perché vede Dio, sintesi d’ogni bene, l’anima santa di Boezio, la quale a chi ben medita le sue opere manifesta la vanità dei beni mondani: il corpo dal quale fu cacciata (con violenza) è sepolto giù in terra nella chiesa di San Pietro in Ciel d’Oro; ed essa giunse nella nostra pace celeste dopo il martirio e l’esilio terreno. Dopo Boezio vedi come fiammeggiano le anime ardenti di Isidoro, di Beda e di Riccardo, che nella scienza della contemplazione fu dotato di intelligenza superiore a quella di un uomo. Questi per cui il tuo sguardo ritorna a me, è la luce di uno spirito al quale, vivendo immerso in angosciosi pensieri, parve di arrivare troppo tardi alla morte: è la luce inestinguibile di Sigieri, il quale insegnando (a Parigi) in via della Paglia, espose con sillogismi verità che gli procurarono l’invidia degli avversari ”. Poi, come un orologio a sveglia che ci chiami nell’ora in cui la Chiesa sorge a cantare le lodi del mattino al suo Sposo perché continui ad amarla, orologio nel quale una parte del congegno tira e spinge producendo un tintinnio con melodia così dolce, che riempie d’amor di Dio l’anima fervorosa, allo stesso modo (in cui si muove questo orologio) vidi la gloriosa corona dei beati muoversi danzando e accordare una voce all’altra con una modulazione e una dolcezza tali che non possono essere conosciute se non in paradiso, là dove la gioia (che ispira questo canto) dura in eterno.Carlohttp://www.blogger.com/profile/18141817929890313062noreply@blogger.com